L’attesa è finita.
Nella giornata di domenica 4 dicembre si è tenuto il Consiglio dei Ministri numero 5 del Governo Monti, quello che ha varato la manovra economica che dovrebbe – nelle intenzioni dei proponenti – salvare il Paese dal default e mettere in sicurezza i conti pubblici, riportando in pareggio il bilancio del Paese e iniziando un processo di abbattimento del nostro schiacciante debito pubblico.
[ad]In una lunghissima conferenza stampa, trasmessa anche dai principali canali televisivi, il Presidente del Consiglio e i Ministri coinvolti hanno illustrato la versione della manovra licenziata dal Consiglio dei Ministri, che verrà poi illustrata alle Camere il giorno 5 dicembre e agli Italiani, nel salotto televisivo di Porta a Porta – vera terza Camera del Paese – il giorno successivo.
Il bilancio della manovra economica è di 30 miliardi lordi di euro, letteralmente sbriciolando, sul totale di tutti gli interventi occorsi nell’anno, qualsiasi precedente nella storia d’Italia.
In particolare, una cifra tra i 12 e i 13 miliardi di euro verrà ottenuta tramite riduzioni di spesa, laddove la quota residua, 17-18 miliardi verrà ricavata tramite maggiori entrate.
Da un’overview generale del provvedimento si coglie un certo sbilanciamento verso una politica delle tasse rispetto ad una reale incisione sulle sacche di rendita che ammorbano il Paese, e sono evidenti certe timidezze propositive, in forma tanto di provvedimenti di carattere puramente simmbolico quanto di norme che paiono appena abbozzate, che fanno ben capire come il Governo Monti abbia percorso un sentiero in realtà molto stretto per garantirsi quel sostegno parlamentare di cui ha bisogno per tradurre in realtà le proprie proposte.
È difficile leggere la verità nelle dichiarazioni di forze politiche impegnate in un sottile gioco psicologico di rivendicazioni e paletti in grado di posizionarle nella maniera migliore per non perdere voti dinanzi alla manovra economica, ma è innegabile che – pur contenendo elementi spiccatamente di sinistra – il grosso della legge economica appaia ispirato a filosofie di destra; d’altra parte, l’attuale proporzione di forze in Parlamento e la stessa composizione dell’esecutivo, per cuanto tecnico, non potevano che condurre a questa conclusione.
Dal punto di vista delle imposte, la prima stangata riguarda le accise sui carburanti: per la benzina verde si passa infatti da 622,10 € a 704,20 € per mille litri (+13%), per il diesel l’aumento è da 481,00 € a 593,20 € (+23%), il GPL vede un aumento da 125,00 € a 267,77 € ogni mille kg (+114%) e infine per il metano viene introdotta una tassa da 0,00331 € per m3. Le norme saranno valide dal 1 gennaio 2012
Per di più, dal 2013, vi sarà un ulteriore ritcco per benzina e diesel di ulteriore 0,50 € ogni mille litri.
Secondo le intenzioni del Governo, le maggiori accise sui carburanti verranno utilizzate per il finanziamento del trasporto pubblico locale.
Un secondo capitolo riguarda una serie di imposte su beni di lusso, che possono essere ascritti ad una forma di patrimoniale: in particolare, viene introdotta un’imposta erariale sui velivoli privati calcolata secondo la tabella riportata; per velivoli di altratipologia si paga un importo fisso di 450,00 €.
Imposta sugli aeromobili |
(per continuare la lettura cliccare su “2”)
In secondo luogo, per le auto con potenza superiore a 170 kW viene introdotto un aggravio sul bollo pari a 20 € per ciascun kW eccedente, e l’incremento sarà valido tanto per le auto di nuova immatricolazione quanto per quelle usate. È da segnalare su questo tema che l’imposta, secondo quanto riporta Il Manifesto, colpirà solo marginalmente il Gruppo FIAT, dal momento che – con l’ovvia eccezione di Maserati e Ferrari – saranno solo tre i modelli coinvolti.
Colpite anche le imbarcazioni, che dovranno pagare una tassa sull’ormeggio calcolata come riporta la seguente tabella.
Imposta sugli ormeggi |
Trova posto all’interno di questo capitolo anche l’estensione del bollo dai soli conti correnti a tutti gli altri strumenti bancari (ad esempio depositi titoli, polizze vita e fondi mobiliari) con la sola eccezione dei fondi pensione e dei fondi sanitari. Le qliquote non sono ancora state comunicate, ma le indiscrezioni affermano che vi sarà una soglia di esenzione e che per gli investimenti superiori a 5.000 euro l’imposta di bollo subirà circa un raddoppio.
[ad]Dal punto di vista della tassazione, tuttavia, l’elemento predominante è costituito dagli interventi sulla casa, che agiscono in una doppia direzione. Da un lato viene operata una rivalutazione una tantum delle rendite catastali, secondo i coefficienti riportato in tabella, dall’altro sarà introdotta l’IMU, una riedizione della vecchia ICI, con aliquota pari allo 0,4% ± 0,2% per la prima casa, e 0,76% ± 0,3% per le abitazioni successive. Inoltre, per l’abitazione principale, verranno detratti 200 € dall’importo complessivo per l’imposta, andando quindi sostanzialmente a portare la tassazione in una forma simile a quanto previsto dal Governo Prodi II. La rivalutazione delle rendite catastali si applicherrà solo sul calcolo dell’IMU, non avrà invece effetto sull’IRPEF e sulle operazioni di compravendita.
Rivalutazione delle rendite catastali |
Dopo le indiscrezioni che volevano ritocchi anche all’IRPEF, quasi a sorpresa non vi sono stati gli annunciati incrementi alle due aliquote più alte. Al contrario, è stata ritoccata l’addizionale regionale dallo 0,90% all’1,23%, andanto così a pesare su tutti i lavoratori e non solo su quelli più abbienti.
Infine, per quanto riguarda il fronte delle tasse, i capitali rientrati in Italia con il Decreto Legge 194/2009 (scudo fiscale) subiranno una tassazione una tantum pari all’1,5%. Tale imposta è stata fatta passare come bollo per essere inattaccabile malgrado la sua azione retroattiva.
Nella manovra, in realtà, si parla di un ulteriore intervento in materia di fisco, che riguarda un ulteriore inasprimento dell’IVA dopo quello del settembre 2011: l’aliquota attualmente al 21% e quella al 10% saliranno rispettivamente al 23% e al 12% a partire dal 1 settembre 2012, e al 23,5% e al 12,5% al 1 gennaio 2014. Tali normative, tuttavia, sono state inserite come clausole di salvaguardia, da adottarsi solo in caso di reale necessità. In realtà, l’entrata in vigore di queste nuove aliquote è automatica, e dovrà pertanto essere espressamente abrogata in caso di effettiva stabilizzazione dei nostri conti pubblici.
(per continuare la lettura cliccare su “3”)
[ad]Il secondo filone di intervento è la lotta all’evasione fiscale. Tra le manovre inserite in questo calderone spicca la tracciabilità dei pagamenti, con l’abolizione dell’uso del contanto per le transazioni superiori a 1.000 €, che scendono a 500 € per la pubblica amministrazione. In tale modo il Governo spera di andare a incidere sui pagamenti in nero, che costituiscono una doppia evasione, sia dell’IRPEF che dell’IVA.
Inoltre, verrà fatto obbligo alle imprese di dichiarare il canone RAI nella dichiarazione dei redditi, andando in questo semplice modo a colpire una tassa ad oggi molto evasa.
Terza macrocategoria di intervento è quella relativa allo sviluppo. Il primo intervento su questo tema è la stabilizzazione della detrazione del 36% per le opere di ristrutturazione – al tempo stesso incentivo al mercato edilizio e freno alla cementificazione di territorio vergine – con un’estensione per le zone colpite da calamità naturale. Prorogati fino al 2014 gli sgravi del 55% per la riqualificazione energetica degli edifici.
In secondo luogo spicca la liberalizzazione dei farmaci di fascia C, che potranno essere venduti anche nelle parafarmacia, in un’ideale riproposizione delle lenzuolate di Bersani del 2006-2007. Sempre in tema di liberalizzazioni è prevista la creazione di un’autorità specifica per i trasporti, per traghettare il processo in quel delicato settore; inoltre verrà aperta la possibilità per i gestori delle pompe di benzina di rifornirsi da qualsiasi produttore esse scelgano, e verrà liberalizzato l’orario di apertura dei degli esercizi commerciali nelle località turistiche. Infine gli ordini professionali verranno aboliti se entro il 13 agosto 2012 non verrà varata una riforma per il loro riordino generale.
Verrà inoltre potenziato di 20 miliardi il fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese eriaperto l’Istituto per il Commercio Estero.
L’intervento forse però più importante da questo punto di vista è uno sgravio per le aziende che assumono personale, sia attrverso la deduzione dall’IRES e dall’IRPEF della quota IRAP relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato, sia attraverso una vera e propria riduzione dell’IRAP per le assunzioni di donne e giovani.
Analogamente, ed in misura analoga a quanto fatto in passato da Visco con la dual income tax, verranno previsti sgravi fiscali alle aziende che ricapitalizzano.
Il capitolo più corposo della manovra è tuttavia quello dei tagli, una riforma molto profonda e articolata che modificherà sostanzialmente la vita dei cittadini italiani.
Il primo colpo di scure riguarda gli enti locali: le regioni vedranno diminuiti i propri trasferimenti di oltre 3 miliardi a partire dal 2012; i comuni vedranno decurtata la propria quota di trasferimenti statali di 1,45 miliardi per quelli sopra i 5.000 abitanti, mentre l’intervento verrà esteso anche ai comuni tra 1.000 e 5.000 abitanti dal 2013; le province, infine, vedranno dal 2012 le proprie entrate calare di 415 milioni.
(per continuare la lettura cliccare su “4”)
[ad]Proprio a proposito di province, il Governo Monti non si è dimenticato dell’espressa volontà di sopprimerle, e imprime una decisa accelerata al processo, con una riforma che ne trasforma radicalmente le competenze ed il significato stesso. Verranno infatti ridotti a 10 membri i consigli provinciali, con la riduzione dal 30 novembre 2012 di oltre 500 consiglieri, e saranno organismi eletti dagli amministratori locali e non più per elezione diretta, in una sorta di applicazione generalizzata delle città metropolitane previta dall’ultimo Governo Berlusconi. Inoltre i compiti delle province dovranno essere unicamente di controllo e indirizzamento dei Comuni in temi di scuola e reti viarie, senza più alcun reale potere decisionale. A tal punto si spinge l’opera di Monti che scompare la compartecipazione provinciale all’IRPEF, lasciando quindi il solo bollo auto come fonte di ingresso per tali enti. Un colpo di fatto mortale all’istituzione provinciale, che sopravviverà in forma evanescente nell’attesa della definitiva cancellazione.
Verrà inoltre eseguito un accorpamento degli organismi di garanzia e degli enti previdenziali, mentre alcuni enti, come l’agenzia per la sicurezza nucleare o l’agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, saranno semplicemente soppressi.
Sul fronte della politica, oltre alla proposta autonoma del Parlamento sul passaggio al contributivo per i parlamentari, emerge dalla manovra economica il divieto di cumulo degli stipendi per chiunque ricopra cariche elettive previste dalla Costituzione.
Inoltre verrà anticipata la prescrizione delle lire ancora in circolazione, a favore dell’erario.
La principale fonte di cassa della manovra, tuttavia, sarà una imponente riforma del sistema previdenziale, ristrutturato in modo sostanziale e molto pesante per i cittadini italiani. L’entità della riforma ricorda da vicino lo scalone Maroni del Governo Berlusconi III, ma vi sono elementi nella proposta dell’attuale esecutivo che rendono questa riforma ancora più pesante per i lavoratori.
Il primo punto della manovra riguarda un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile: a fronte infatti dell’eliminazione della finestra mobile, dal 1 gennaio 2012 l’età pensionabile delle donne sarà 62 anni e quella per gli uomini sarà 66 anni. Ad entrambe le quote sono da sommare 6 mesi per gli autonomi. La finestra di uscita potrà spingersi fino a 70 anni. Negli anni successivi, le donne inizieranno un percorso di adeguamento dell’età pensionabile fino al raggiungimento degli uomini nel 2018; il primo scaglione sarà 63 anni nel 2014. Dal 2020 l’età pensionabile sarà 67 anni per tutti.
In secondo luogo, la rivalutazione sulle pensioni sarà azzerata salvo per una quota parte inferiore o pari al doppio dell’assegno sociale, quindi intorno ai 950 €.
Il terzo aspetto riguarda il passaggio al regime contributivo per tutti, anche per coloro che con la riforma precedente avevano mantenuto il retributivo. Per costoro la quota contributiva scatterà a partira dal 1 gennaio 2012.
Infine, le pensioni di anzianità: spariranno le finestre previste dal Governo Prodi, e l’età di 40 anni verrà innalzata a 41 e un mese per le donne e 42 e due mesi per gli uomini. Tuttavia, tale quota da sola non verrà considerata sufficiente: chi avrà infatti i requisiti di anzianità contributiva ma non quelli di vecchiaia potrà lasciare il lavoro con una penalizzazione del 3% per ogni anno di anticipo sulla soglia di vecchiaia.
Le persone maggiormente penalizzate da questa riforma sono i nati nel 1952, che per nemmeno un mese vedono ingigantirsi il tempo di permanenza sul lavoro. Ad esempio, una donna nata nel 1952 con 36 anni di servizio a fine 2011 è passata dall’andare in pensione nel 2012 con la riforma Prodi al 2013 con l’apertura della finestra mobile di Tremonti e ora potrà andare in pensione nel 2015, a 63 anni, non potendo nemmeno sfruttare soglia 62 in quanto nel 2014 vi sarà un ulteriore scalino automatico. Peggio ancora va agli uomini: un uomo nelle medesime condizioni di anzianità lavorativa vedrà la propria pensione slittare dal 2013 al 2018, ovvero cinque anni di lavoro in più.
Rivoluzionato anche il sistema dei lavori usuranti: se infatti fino al 2017 sarà necessario aver svolto per sette anni un lavoro considerato tale per avere diritto all’accesso alla pensione anticipata, dal 2018 tale periodo sarà portato a metà della propria vita lavorativa.
Infine, le aliquote del prelievo sugli autonomi, attualmente inferiori di circa il 10% rispetto ai dipendenti, subiranno un incremento dello 0,3% annuo fino al 2018, per ridurre almeno in parte ilgap.
Una manovra oggettivamente pesante, pensata con il solo scopo di fare cassa.
(per continuare la lettura cliccare su “5”)
[ad]Un articolo a margine dei precedenti, per la tutela della banche italiane, rischia di essere però l’aspetto più clamoroso della manovra, in grado di distruggere la rete di fiducia che Monti ha saputo costruirsi negll’ultimo mese: secondo le indiscrezioni lo Stato, ovvero i cittadini, si faranno garanti delle perdite delle banche italiane senza alcuna pretesa di nazionalizzazione o controllo. Un sistema perverso, in pratica, che consentirà agli istituti di credito di scaricare le proprie perdite sullo Stato e quindi sui cittadini.
La speranza è che il dettaglio della manovra permetta di fugare simili dubbi e restituire dignità ad una manovra che, con le sue luci e le sue ombre, sembrava fatta quantomeno nell’interesse del Paese.
Questa nuova finanziaria è oggettivamente molto pesante e dura, e come anticipato sbilanciata a destra. La tassazione sui capitali scudati è ben misera cosa rispetto ai sacrifici imposti sulle pensioni, e anche sulla patrimoniale e sulla lotta all’evasione le manovre sono più timide di quello che avrebbero potuto essere. Non si parla di ICI sui beni ecclesiastici né di riduzione delle spese militari.
Il dibattito però non deve vertere tanto sulla bontà della manovra: essa è frutto di un compromesso tra le forze eterogenee che dovranno votarla e lo strettissimo sentiero che ci lascia aperto il nostro debito pubblico soverchiante; molto più importante è capire la sua utilità.
Dopo così tante manovre bruciate dallo spread impazzito da più parti si è levato il dubbio che in realtà vi sia un attacco concertato all’Italia finalizzato alla svendita e alla distruzione del patrimonio dello Stato, e che quindi qualsiasi sacrificio richiesto non sia altro che la vendita di un’illusione fino a quanto il nostro Paese, ormai svuotato, verrà abbandonato e lasciato a sé stesso. Dinanzi ad una simile visione, che richiederebbe l’esistenza di enti e personaggi così potenti da pilotare i mercati internazionali, è difficile mantenere la necessaria concentrazione, ma non bisogna tuttavia dimenticare che se l’Italia è così esposta sui mercati internazionali è principalmente per colpa delle politiche dissennate che hanno fatto schizzare alle stelle il suo debito. Ogni manovra che punta alla sua riduzione deve pertanto essere accolta come un passaggio necessario, pur doloroso, e soprattutto utile per disegnare l’assetto del nostro futuro.
Monti, quindi, ha fatto i compiti urgenti che da lui erano richiesti dalle UE e che il precedente esecutivo non era riuscito a portare a termine; vi sarà sicuramente altro nel futuro di questo governo tecnico, e si spera più improntato alla crescita che al rigore, ma ora la palla torna a Bruxelles. L’Italia ha dimostrato di poter essere in grado di fare la propria parte, ed i mercati hanno premiato questa scelta con una discesa sostanziosa dello spread dei BTP; ora il vertice di venerdì 9 dicembre mostrerà se anche la UE ha il coraggio necessario a compiere quelle scelte necessarie a proteggere il continente da simili attacchi in futuro, oppure se le istanze nazionaliste prevarranno ancora una volta.