La manovra finanziaria di Monti

Pubblicato il 7 Dicembre 2011 alle 17:30 Autore: Alessandro Siro Campi
La manovra finanziaria di Monti

La manovra finanziaria di Monti si presta a una vecchia battuta: l’ottimista dice che questa è la miglior manovra possibile, il pessimista dice che, purtroppo, è vero. Mi piacerebbe cercassimo tutti di giudicare questa manovra in base alla situazione reale.

La prima cosa da cui dobbiamo tutti partire è che in questo momento o si sostiene una manovra correttiva (per quanto possa non piacere) o si arriva al default. Il default non è un gioco, è una catastrofe e potrebbe portare con sé la fine dell’euro. Come ci spiegano con molta chiarezza su La Stampa

A quel punto si aprirebbe un altro scenario terrificante: la lira subirebbe sicuramente una svalutazione molto pesante rispetto all’euro. Un rapporto della banca d’affari Ubs che si esercita proprio sull’ipotesi di uscita dall’Eurozona di un Paese come l’Italia, ritiene probabile, in questo caso, un crollo della lira del 60 per cento. Vuol dire che gli stipendi e le pensioni varrebbero improvvisamente il 60 per cento in meno. A fine mese, per pagare la solita rata del muto o del frigo bisognerebbe mettere cioè molti più soldi. Facile immaginare che per milioni di persone che hanno pochi margini di risparmio significherebbe perdere case, frigo, automobili o finire pignorati dalle banche. Lo Stato, infine, sarebbe costretto a dichiarare fallimento su un debito più che raddoppiato da un giorno all’altro. In altre parole, come ricordano molti italiani rimasti «bruciati» dai tango bond argentini, non ripagherebbe una parte del debito. Il fallimento del debito pubblico farebbe schizzare gli interessi alle stelle facendoci velocemente dimenticare questi 13 anni di moneta unica con tassi ai minimi. Per riconquistare la fiducia dei mercati l’onere sui prestiti di ogni tipo balzerebbe, nello scenario Ubs meno pessimista, di ben 7 punti rispetto al livello attuale. Le banche rischierebbero così di paralizzarsi o addirittura di fallire – anche a causa del «bank running», delle corse a ritirare i soldi dai conti e dai depositi che è uno scenario tipico, in questi casi. Allora, chiosa la banca d’affari svizzera, si potrebbe arrivare al totale congelamento del credito. Anche l’inflazione schizzerebbe a livelli inauditi, nel caso di uscita dell’euro e sarebbe aggravata dalla particolare struttura della nostra bilancia commerciale, cioè della differenza che c’è tra entrate e uscite. Siccome in Italia siamo costretti a importare molto e per di più beni insostituibili come l’energia, i prezzi si infiammerebbero ancora di più. Un altro elemento che si mangerebbe pensioni e salari.

Fatta questa premessa sulla necessità della manovra e prima di analizzare i provvedimenti presi, vorrei dire che anch’io non riesco a stare dalla parte di quelli che si svegliano ora o di quelli che ancora dormono

Quelli che si svegliano ora sono i partiti che pensavano bastasse far cadere Berlusconi e mettere un bravo economista al suo posto per risolvere le cose, magari trovando soluzioni a cui nessuno aveva mai pensato, manco Monti fosse Silvan. Si erano probabilmente illusi di potersela cavare a buon mercato o di non dover mettere la loro faccia e la loro firma su provvedimenti ad alto tasso di impopolarità a poco più di un anno dalle elezioni politiche. Quelli che ancora non si svegliano sono gli economisti che pontificano sui giornali. Loro hanno la ricetta facile facile, ma possono permettersi tutto: non hanno da far approvare a un Parlamento di irresponsabili una manovra finanziaria, non hanno l’esigenza del consenso di un migliaio di tizi affinché un disegno di legge diventi operativo. E allora parlano, parlano. E scrivono, scrivono. Quelli che si svegliano ora sono la Cisl e la Uil. Per quasi un decennio hanno accettato praticamente tutto dai governi Berlusconi – a partire dagli atteggiamenti di rottura con la Cgil – e ora che devono assumersi la loro parte di responsabilità scoprono la vena barricadera. Quelli che ancora non si svegliano sono i partiti che preferiscono cianciare di secessione e altre amenità, per avere lo zero virgola o anche l’uno virgola in più alle prossime elezioni. Sai che goduria, dover governare un Paese in bancarotta… Ma, infatti, il loro obiettivo non è governare: è rimanere all’opposizione, scaldando uno scranno a Montecitorio nei panni dei difensori della gggente. Non hanno ancora capito che i bei tempi da perdenti vincenti son terminati.

o di quelli che si aspettavano miracoli

Piero ha sinteticamente e magistralmente descritto in un suo tweet i commenti di tutti quelli che, magari dopo aver magnificato la politica di questi ultimi anni (a destra come a sinistra) che ci ha portato ad avere uno spread a 570 e un paese in recessione, critica con grande competenza e impegno la manovra di Monti che in DICIOTTO giorni ha fatto qualcosa portando lo spread giù di 200 punti (che vuol dire centinaia di milioni di interessi in meno alle prossime aste).
Scrive Piero: “Siamo 60 milioni di bocconiani che in 18 giorni in tempo di crisi avrebbero fatto tutto accontentando tutti.”
In effetti il riferimento rimane sempre Colui che di giorni ne usò 7: di tempo ce n’era e di creazioni ne potevamo fare almeno un paio. Suvvia Mario, datti una mossa.

Veniamo ora alla manovra: la prima cosa che vorrei far notare è che per la prima volta si attaccano i costi della politica. Le Giunte Provinciali vengono abolite e i Consigli Provinciali ridotti a 10 persone. Ad esempio, la provincia di Monza e Brianza passa da spendere più di 60.000 euro al mese per Consiglio, Giunta e Presidente a spenderne meno di 15.000 (un taglio del 75%). La manovra rende concreta una norma della manovra precedente:

La manovra stabiliva quindi l’istituzione di una commissione, presieduta dal presidente dell’ISTAT e composta da quattro “esperti di chiara fama”, chiamata – entro il primo luglio di ogni anno – a provvedere alla “ricognizione e all’individuazione della media dei trattamenti economici […] riferiti all’anno precedente ed aggiornati all’anno in corso sulla base delle previsioni dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel Documento di economia e finanza”. Le norme sui nuovi compensi allineati alla media europea, infine, “si applicano a decorrere dalle prossime elezioni, nomine o rinnovi e, comunque, per i compensi, le retribuzioni e le indennità che non siano stati ancora determinati alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Qui entra in gioco la manovra Monti, che al comma 7 dell’articolo 23 dice [… che] se la commissione appositamente individuata dalla manovra di quest’estate non chiarirà entro tre settimane quale debba essere lo stipendio dei parlamentari – ma anche di presidenti di regioni e province, consiglieri regionali, provinciali e comunali, sindaci, giudici della Corte Costituzionale, vertici della pubblica amministrazione, membri di authority e agenzie governative – il governo provvederà con apposito provvedimento d’urgenza. Decidendo autonomamente quale dovrà essere lo stipendio di queste figure, a partire dalle prossime elezioni o nomine.

La manovra contiene anche due timidi provvedimenti di equità raggiunta attraverso la leva fiscale. Le liquidazioni superiori a un milione di euro saranno sommate al reddito complessivo, tassato con l’aliquota IRPEF massima del 43 per cento. Una tassa sui beni di lusso (come le barche superiori ai 10 metri o gli aerei e gli elicotteri privati) porterà un gettito di mezzo miliardo di euro.
La manovra contiene anche alcune misure per il rilancio dell’economia. Le aziende che assumono un giovane sotto i 35 anni o una donna a tempo indeterminato hanno un vantaggio fiscale superiore ai 10.000 euro. L’IRAP sul costo del lavoro sarà deducibile per le imprese e viene rafforzato il fondo di garanzia sui prestiti alle piccole e medie imprese. Le regioni potranno eccedere dal patto di stabilità per un miliardo di euro l’anno se quel miliardo proviene da Fondi Strutturali Europei. Inoltre, vengono rinnovati l’incentivo per la riqualificazione energetica delle abitazioni, lo sgravio fiscale del 55 per cento godibile in dieci anni, e il bonus del 36 per cento sulle ristrutturazioni edilizie.
C’è nella manovra qualche timido tentativo di combattere l’evasione fiscale vietando i pagamenti in contanti superiori ai 1000 euro e incoraggiando le aziende a usare pagamenti tracciabili offrendo in cambio sconti e semplificazioni fiscali.
Sul lato pensionistico, l’unico elemento positivo della manovra è l’abolizione delle finestre: da ora quando si matura il diritto alla pensione non occorre attendere una finestra (il che voleva dire per i più sfortunati attendere quasi un anno) ma si va in pensione dal mese successivo.
Un’altra norma che ci rende un po’ più un Paese normale impone che nessuno possa più avere incarichi nei consigli di amministrazioni di società in concorrenza tra loro.
Al di fuori della manovra, un altro risultato positivo di questo Governo è questo:

il CIPE (Comitato Interministeriale Programmazione Economica) ha sbloccato 3,8 miliardi di euro e ne ha recuperato altri 4,8 miliardi che erano stati cancellati dalla manovra estiva del governo Berlusconi. Dal Fondo infrastrutture, pari a 4,9 miliardi, sono stati invece prelevati finanziamenti per 1,1 miliardi per il secondo lotto della linea Alta velocità Milano-Genova, per 919,05 milioni per il secondo lotto della linea Alta velocità Treviglio-Brescia, per 600 milioni per la nona tranche del Mose. Sono stati assegnati 598 milioni per il Contratto di programma Anas 2010-2011, 123,3 milioni per interventi in Sicilia e Calabria, sono stati recuperati 440 milioni dal Fondo per lo sviluppo e la coesione e assegnati per 200 milioni all’Alta velocità e per 220 alla manutenzione ferroviaria.

Una norma che invece merita qualche attenzione perché estremamente pericolosa è quella che stabilisce l’ampliamento dell’uso dell’ISEE per decidere l’erogazione di sostegni economici. In un Paese in cui i redditi ufficiali sono molto diversi da quelli reali e con un ISEE che non tiene conto dei costi dell’assistenza si rischia di colpire chi è nel bisogno portando a situazioni paradossali e antieconomiche: ad esempio può succedere che togliendo un sostegno a un disabile lo si costringa a un ricovero in istituto (che si rivelerebbe molto più costoso del sostegno ricevuto precedentemente).
Veniamo invece ora ai lati oscuri della manovra, quelle parti che dovrebbero venire cambiate. La manovra stabilisce un’imposta straordinaria dell’1,5% sui capitali rientrati con gli scudi fiscali (l’ultimo del governo Berlusconi ma anche anche quelli del 2001 e del 2003). L’1,5% è vergognosamente basso. Soprattutto perché si chiede a chi ha evaso meno di quanto chiesto a pensionati o proprietari di case.

Il blocco dell’indicizzazione all’inflazione per due anni interesserà tutte le pensioni superiori a 960 euro. Queste sono il 76,5 per cento del totale. La misura permetterà di risparmiare 3,8 miliardi di euro nel 2012 e 6,7 nel 2013 e nel 2014. Dal 2018 l’intera riforma delle pensioni permetterà di risparmiare 20 miliardi di euro all’anno. Le tasse sulla casa produrranno gettito per circa 11 miliardi di euro. Di questi, 9 miliardi andranno allo Stato e 2 miliardi andranno ai Comuni. […] Dall’aumento della benzina verranno fuori 4,8 miliardi di euro netti. La cosiddetta “minipatrimoniale” sugli strumenti finanziari porterà un gettito da 1,9 miliardi di euro per il primo anno e di 3 miliardi dal 2013 in poi.

ancora:

Dal 2012 saranno calcolate per tutti con il metodo contributivo, cioè sulla base dei contributi che i lavoratori hanno versato nella loro intera vita lavorativa, il cosiddetto montante contributivo, rivalutata sulla base di precise aliquote e tassi di rivalutazione. L’importo annuo della pensione viene calcolato moltiplicando il montante per un coefficiente di trasformazione, un numero che varia a seconda dell’età del lavoratore al momento in cui è andato in pensione.

Gli uomini potranno andare in pensione con 42 anni e un mese di contributi, o all’età di 66 anni. Le donne potranno andare in pensione con 41 anni e un mese di contributi, o all’età di 62 anni. Spariscono nominalmente le pensioni di anzianità, che saranno quindi “pensioni anticipate”: i lavoratori che decideranno di lavorare oltre le soglie, fino a 70 anni, saranno premiati da un sistema di incentivi. Sia per gli uomini sia per le donne sarà necessario un requisito minimo di anzianità contributiva di 20 anni. L’età pensionabile diventa quindi flessibile, dai 62 ai 70 anni per le donne, dai 66 ai 70 anni per gli uomini, con un meccanismo che premia chi va in pensione più tardi.

Sul fronte della casa:

L’IMU, l’imposta municipale unica introdotta dal federalismo fiscale, sarà anticipata al gennaio 2012. Saranno tassate anche le prime case: aliquota base allo 0,76 per cento, 0,4 per cento per le prime case. I sindaci potranno ridurla ulteriormente. L’imposta sarà applicata sul valore catastale degli immobili, che sarà ricalcolato secondo coefficienti rivalutati per il 60 per cento, quindi ben più alti che in passato.

L’imposta prevede comunque una detrazione sulla prima casa di 200 euro che esenterà molte famiglie.

I fondi per le regioni vengono tagliati di 3,1 miliardi a partire dal 2012: 2,1 alle regioni a statuto ordinario e 1 alle regioni a statuto speciale. I fondi per i comuni con più di 5000 abitanti vengono tagliati di 1,4 miliardi dal 2012. I fondi per i comuni con più di 1000 abitanti vengono tagliati di 1,4 miliardi dal 2013.
Il governo prevede con la manovra di blindare gli obiettivi di risparmio già previsti in bilancio per 2012, 2013 e 2014. Se non dovessero bastare, scatterà un aumento di 2 punti delle aliquote IVA del 10 e del 21 per cento a partire da giugno del 2012, con un ulteriore scatto di mezzo punto dal giugno del 2014.

In tutto ciò, il PD che dice?

Il Partito Democratico ha già imposto alcuni temi, come la tassazione dei capitali scudati, la tracciabilità nei pagamenti, l’abbassamento di un anno dei contributi previsti per le pensioni di anzianità (prima la manovra prevedeva 43 e 42) , la copertura fino alla pensione dei lavoratori in mobilità. Ma non basta.

Il Pd garantirà responsabilmente il proprio sostegno per evitare il fallimento, ma lavora per mettere, per quanto possibile, più equità nell’intervento deciso dal governo di emergenza presieduto da Mario Monti.

Quattro sono i temi sui quali intervenire, sia pure nel contesto di un iter parlamentare che si presenta come un sentiero molto stretto:

1. Pensioni. Innalzare l’ammontare della pensione che sarà rivalutata in base al costo della vita; rallentare l’applicazione della riforma sulle pensioni di anzianità e tenere in debito conto la situazione dei lavoratori che hanno cominciato l’attività da giovanissimi e dei lavoratori anziani che hanno perso il lavoro.

2. Casa. Innalzare la soglia di esenzione per l’Ici sulla prima casa, in modo da favorire i meno abbienti.

3. Evasione. Misure più concrete di lotta all’evasione fiscale.

4. Investimenti. Uno spazio nel patto di stabilità interno per permettere ai comuni di fare alcuni lavori, per esempio la messa in sicurezza e l’adeguamento ambientale ed energetico delle scuole.

Le risorse per fare questi interventi si possono trovare con interventi strutturali e una tantum: irrobustire il prelievo sui capitali scudati (ora è appena l’1,5 per cento); fare rapidamente un accordo con la Svizzera per la tassazione dei capitali italiani nelle banche elvetiche, seguendo l’esempio di Usa e Germania; vendere le frequenze tv invece di regalarle; reintrodurre almeno una o due delle misure contro l’evasione fiscale approvate dal governo Prodi e abolite subito da Berlusconi.

C’è anche chi dice che un’altra manovra è possibile:

Solo i famosi 131 cacciabombardieri F35 (già messi a bilancio anche se non c’è stata ancora la firma del contratto, quindi potremmo disdirli senza penali) fanno 16 miliardi.

La dismissione di una parte delle caserme rimaste semivuote dopo la fine della naia obbligatoria consentirebbe di incassare rapidamente almeno altri 4 miliardi.

La rinuncia all’acquisto di due sommergibili e due fregate (anche loro già a bilancio) farebbe risparmiare un altro mezzo miliardo (abbondante).

Un accordo con la Svizzera sui capitali esportati clandestinamente – sulla falsariga di quello fatto dalla Germania – permetterebbe di incassare almeno 5 miliardi di euro.

Poi ci sarebbe il Vaticano: lasciandogli intoccato il suo otto per mille, i contributi alle sue scuole e tutto il resto, basterebbe abolire le esenzioni Ici, Ires, Iva e Irap, più i contributi regionali e quelli comunali per portare a casa un altro miliardo e mezzo.

Quindi ci sono le frequenze: 5,5 miliardi di euro sono una stima molto prudente di quello che si incasserebbe se le si vendesse anziché regalarle alle aziende tv e di telecomunicazione.

Infine, un taglio ai costi della politica non avrebbe solo un alto valore simbolico: tra riduzione dei rimborsi elettorali ai partiti, degli stipendi e dei vitalizi degli eletti (il presidente della Provinca di Bolzano guadagna più di Obama), delle auto blu etc, un altro mezzo miliardo verrebbe fuori facilmente.

Fanno 33 miliardi. Cioè di più di quello che con cipiglio sofferente il governo Monti sta chiedendo ai lavoratori, ai pensionati, ai cittadini.

Certo: ci diranno che così è troppo semplice, che non si può, che è più complicato, che noi siamo solo dilettanti e dobbiamo lasciar fare a loro.

Io credo davvero questo discorso sia troppo semplicistico: confonde misure strutturali (che avranno effetti per sempre) con misure una tantum (come quella sui caccia-bombardieri, che porterebbe benefici solo per un anno) e tratta alcuni temi con troppa superficialità. Ad esempio il discorso sull’ICI e la Chiesa è totalmente assurdo, come spiegano Valigia Blu

L’ICI, ossia l’Imposta Comunale sugli Immobili, risale al 1992 e da subito sono state previste esenzioni che non riguardano solo la Chiesa cattolica, come si potrebbe pensare, ma tutti gli immobili utilizzati da un “ente non commerciale” e destinati “esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”. Questo per agevolare soggetti no profit che svolgono attività sociale. Quindi: il proprietario deve essere un ente non commerciale (non ci devono essere utili da distribuire, per intenderci) e quello che guadagna lo deve utilizzare per le attività che svolge. Infine l’immobile deve essere utilizzato solo per le attività descritte.
Nel 2004 la Corte di Cassazione si pronuncia (SENTENZA 8 marzo 2004, n. 4645 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile: “Il beneficio dell’esenzione dall’ICI non spetta in relazione agli immobili, appartenenti ad un ente ecclesiastico, che siano destinati allo svolgimento di attività oggettivamente commerciali”) su un contenzioso che riguarda un immobile di un istituto religioso destinato a casa di cura e pensionato per studentesse. E così aggiunge una nuova interpretazione alla legge: non basta più che l’ente sia no profit (guadagna senza utile ma reinvestendo nell’attività stessa) ma per avere diritto all’esenzione non deve svolgere alcuna attività commerciale. Questo ovviamente per il no profit, che può prevedere corrispettivi per l’attività svolte a copertura dei costi e non per finalità di lucro, diventa un problema. Quindi per tutto il no profit, non solo per la Chiesa.
Nel 2005 lo Stato allora interviene con una prima interpretazione autentica (art. 7 del decreto legge n. 203/2005, governo Berlusconi) ripristinando di fatto l’impostazione originaria della legge. Questa impostazione viene impugnata di fronte alla Commissione europea e denunciata come “aiuto di stato”: gli enti non commerciali che svolgono quelle attività socialmente rilevanti sono comunque da considerare “imprese” a tutti gli effetti, e dunque l’esenzione costituirebbe una distorsione della concorrenza nei confronti dei soggetti (società e imprenditori) che svolgono le stesse attività con fine di lucro soggettivo.
A questo punto lo Stato interviene di nuovo con una seconda interpretazione autentica (art. 39 del D.L. n. 223/2006, governo Prodi), precisando che l’esenzione deve intendersi applicabile se l’attività è esercitata in maniera “non esclusivamente commerciale”. Contemporaneamente presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze è stata istituita una commissione con il compito di individuare le modalità di esercizio delle attività che, escludendo una loro connotazione commerciale e lucrativa, consentano di identificare gli elementi della “non esclusiva commercialità”.
In seguito a questa seconda interpretazione autentica e all’istituzione della commissione, l’UE ha archiviato il caso per ben due volte, nel 2008 e nel 2010. A quel punto i radicali, come si legge in questo articolo di LETTERA 43, hanno chiamato in causa direttamente la Corte di giustizia europea di Lussemburgo. Il nuovo Commissiario alla concorrenza Joaquin Alumnia ha deciso di riaprire il fascicolo perché «non si può escludere che le misure costituiscano un aiuto di Stato». Entro 18 mesi (a partire dal 10 ottobre 2010) Bruxelles dovrà decidere se assolvere o condannare l’Italia con multa ed eventualmente porre fine ai privilegi e disporre il rimborso all’erario delle tasse non pagate in cinque anni dagli enti ecclesiastici.
La cosa meravigliosa, in tutto questo, è che il Governo Berlusconi, come si legge suREPUBBLICA, ha infilato nel decreto sul federalismo fiscale municipale approvato il 4 agosto 2010 un comma – mai pubblicizzato – all’articolo 5 che introduce l’imposta unica municipale, che comporterebbe in sostanza, a partire dal 2014, l’annullamento dell’esenzione ICI per la Chiesa per quanto riguarda ospedali, scuole e alberghi (non rientrano dunque i fabbricati per l’esercizio del culto e quelli della Santa Sede previsti dal Concordato).
Questo però è un punto controverso: pare che la versione finale del federalismo fiscale abbia riportato tutto al punto di partenza (non sono riuscita a trovare però un documento ufficiale a riguardo. Se lo trovate voi segnalatemelo. Udpate: l’ho trovato su LAVOCE.INFO. Grazie a zetavu per la segnalazione) .
Non solo Vaticano 
Chi usufruisce dell’esenzione ICI dunque? Associazioni, fondazioni, comitati, onlus, organizzazioni di volontariato, organizzazioni non governative, associazioni sportive dilettantistiche, circoli culturali, sindacati, partiti politici, enti religiosi di tutte le confessioni: Il mondo del no profit, in sostanza, per cui anche gli enti pubblici sono enti non commerciali. Fondazioni, partiti politici, sindacati, enti pubblici…
A quanto ammonta questo patrimonio immobiliare che usufruisce dell’esenzione ICI?
Per quanto riguarda il Vaticano (sarebbe più corretto dire Chiesa, come mi fa notare Francesco Banfi su facebook) comunque si parla di circa 100mila immobili, di questi 9 mila sono scuole, 26 mila strutture ecclesiastiche e quasi 5 mila strutture sanitarie. Per l’agenzia delle entrate significa un potenziale introito di due miliardi di euro all’anno. (fonte Lettera 43)
Una puntualizzazione e qualche mito da sfatare 
Non tutti gli immobili di proprietà degli enti non commerciali sono esenti: lo sono solo se destinati alle attività indicata dalla legge. In tutti gli altri casi pagano, inclusa la Chiesa, regolarmente l’imposta: è il caso degli immobili destinati a librerie, ristoranti, hotel, negozi, così come delle case date in affitto. Se non la pagano, vanno denunciati.
Quindi non è vero che per gli alberghi la Chiesa non paga l’ICI, la paga perché quell’attività non rientra nelle attività specificate dalla legge. E non è vero che basta una piccola cappella all’interno di un hotel di proprietà di religiosi per rendere l’intero immobile esente dall’ICI, come trucchetto per rientrare in ogni caso nella clausola dell’attività di natura “non esclusivamente commerciale”. Trucchetto che comunque non reggerebbe visto che per ottenere l’esenzione l’intero immobile deve essere destinato a una delle attività indicate e considerato che l’attività alberghiera non è tra queste, l’intero immobile, cappellina inclusa, dovrebbe essere assoggettato all’imposta.
Ultime tre cose prima di chiudere 
1) La pagina Vaticano pagaci tu la manovra secondo me non è nata dal basso: è anche questa una pagina ben strutturata di marketing politico (devo dire che ho apprezzato moltissimo le netiquette che invitano gli iscritti a rispettare le regole della civile conversazione). Embè, direte voi, chi se ne frega. L’importante è la mobilitazione etc. etc.
A me, da osservatrice e da appassionata di informazione e di rete, interessa molto, invece, riflettere su queste dinamiche che investono la psicologia della massa in rete e il rapporto old-new media. Perché una delle tecniche utilizzate è quella di “creare” la notizia di mobilitazioni nate dal basso su facebook per ottenere spazi di visibilità sui giornali e sulle tv (media main stream), visibilità che in altro modo non si riuscirebbe ad ottenere, nonostante la validità dei temi trattati. Varrebbe la pena affrontare pubblicamente queste problematiche.
2) Scrivendo questo post ho trovato un articolo del Sole 24 Ore del 2007 sul turismo religioso. Mi sembra un dato interessante da segnalare. “In Italia il settore cresce di oltre il 20% quest’anno e genera annualmente un giro d’affari intorno ai 5 miliardi di euro, muove oltre 40 milioni di persone e fa registrare 19 milioni di pernottamenti, secondo una indagine Trademark. E la Chiesa cattolica svolge un ruolo chiave, con il 70% dei beni culturali esistenti, 30mila edifici religiosi di valore artistico, 700 musei diocesani e 2.200 tra santuari, monasteri e conventi che in gran parte offrono ospitalità”.
3) A proposito di soldi che si possono recuperare e dove, riporto un brano tratto dal libro Soldi rubati di Nunzia Penelope: “I soldi fanno girare il mondo, ma se girano dalla parte sbagliata finisce che il mondo si ferma. E quello che sta accadendo all’economia italiana. Appesantita dalla crisi, certo, ma soprattutto da un tasso d’illegalità che non ha pari nel mondo occidentale… Partiamo da tre numeri base: ogni anno in Italia abbiamo 120 miliardi di evasione fiscale, 60 miliardi di corruzione, e 350 miliardi di economia sommersa, pari ormai a quasi il 20 per cento della ricchezza nazionale. Ma varrebbe la pena di aggiungere gli oltre 500 miliardi nascosti da proprietari italiani nei paradisi fiscali e su cui non si pagano tasse. Sessanta miliardi di corruzione e 120 di evasione fanno 180 miliardi l’anno. In 10 anni sarebbero 1800 miliardi: esattamente quanto l’intero stock del debito pubblico. Si potrebbe azzerarlo e vivere felici.”
A commento di questo passo cito uno spunto del giornalista e blogger FABIO CHIUSI, un suo post su facebook dove ha scritto: “Vorrei vivere in un Paese dove 40 mila persone si iscrivono in poche ore a un gruppo contro la legge sul biotestamento, prima che sui privilegi del Vaticano”. Anche io vorrei vivere in un Paese dove qualcuno apre la pagina “Evasione fiscale, corruzione, economia sommersa. Adesso basta!”, si iscrivono 800mila persone in 5 minuti. Edizioni straordinarie dei Tg. Il giorno dopo convocazione del Parlamento e la firma di Napolitano sui decreti urgentissimi per combattere evasione, corruzione, sommerso in meno di 24 ore.
Vogliamo togliere l’esenzione ICI e eliminare o dimezzare l’8×1000? Giustissimo, perfetto. Ma per quanto mi riguarda voglio sapere di cosa stiamo parlando. Avendo a mia disposizione un quadro quanto più possibile completo della questione.
Consigli di lettura:
AGEVOLAZIONI, ECCO LA VERITÀ (da Avvenire) e la REPLICA di Mario Staderini dei Radicali (replica che è nata prima come nota sulla pagina facebook “Vaticano pagaci tu la manovra” e poi è diventata un post sul sito dei Radicali)
LA QUESTUA – l’inchiesta di Curzio Maltese – La Repubblica
LA VERA QUESTUA – la controinchiesta di Umberto Folena – Avvenire

Anche in altri paesi, come la Gran Bretagna, le attività no-profit (incluse le attività religiose) usufruiscono dell’esenzione dalle tasse. Qui il LINK di riferimento.

Sarubbi

Due legislature fa, Berlusconi riforma l’Ici in maniera favorevole alla Chiesa; i radicali denunciano il fatto alla Commissione europea e il governo Prodi, entrato in carica nel frattempo, si impegna a modificare la disciplina. Ad agosto 2006, l’allora ministro Bersani limita l’esenzione alle attività “non esclusivamente commerciali”. I radicali non sono ancora soddisfatti e fanno ricorso alla Corte di giustizia del Lussemburgo, che a sua volta impone alla Commissione europea di verificare se questa legge è contraria alle direttive comunitarie sulla concorrenza: il limite fissato è giugno 2012. Ad oggi, la Commissione non ha ancora espresso il parere definitivo.

La vulgata. Versione popolare: “Mentre un proprietario di appartamento paga l’Ici, la Chiesa – che ha diverse proprietà date in affitto – non lo paga; dunque, bisogna cambiare la legge”. Risposta di Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, nell’editoriale di oggi: non è vero, perché “gli immobili di proprietà di enti religiosi dati in affitto sono assoggettati all’Ici e alle altre forme di tassazione come qualunque altro immobile dato in affitto”; se poi nel concreto ci fosse qualcuno inadempiente, “violerebbe la legge e meriterebbe di essere sanzionato: i Comuni hanno i mezzi per farlo”. Traduco: se un ex seminario è diventato nel frattempo un albergo, e non sta pagando l’Ici, il Comune vada a fare un’ispezione e lo smascheri. Ma non è un problema di inadeguatezza della legge attuale, dice Avvenire.

La platea. Sempre Avvenire ricorda oggi un particolare rimasto fuori dalla polemica: che “le esenzioni previste per le attività solidali e culturali svolte senza l’obiettivo di guadagnarci riguardano non solo la Chiesa cattolica, ma ogni altra religione che abbia intese con lo Stato italiano e ogni altra attività non profit di qualunque ispirazione, laica o religiosa”. Riguardano dunque l’Arci, i patronati, i sindacati, le associazioni sportive di base e così via. Il confine sta nel concetto di non profit: un bar interno a un oratorio o a un circolo dell’Arcigay è un’attività commerciale o no? Nessuno dei due, al momento attuale, paga l’Ici, così come non lo paga il bar all’interno alla società Arvalia Villa Pamphili, che con il rugby toglie i ragazzi dalle strade di Corviale. Tutti questi bar vendono bibite e merendine, come l’esercizio aperto dall’altro lato della strada. Ma fanno attività commerciale o no? Non esclusivamente, e quindi – secondo la legge attuale – sono esenti dall’Ici. È un favore alla Chiesa? Non direi: è un favore al non profit, in generale.

La soluzione. La prima soluzione, in attesa della pronuncia dell’Unione europea, si chiama controllo: se c’è un albergo a 5 stelle mascherato da ente non profit grazie alla presenza di una cappellina, il Comune ha tutti gli strumenti per verificarlo e sanzionarlo. La seconda, nel caso in cui l’Europa dovesse dire che si tratta di violazione della concorrenza, potrebbe essere quella di scorporare le attività: l’oratorio o la parrocchia non paga, il bar interno o una parte della canonica – quella adibita ad abitazione – sì; e lo stesso vale anche per l’Arcigay, la società di rugby e cosi via. Se servisse a rasserenare gli animi, sarebbe un guadagno per la stessa Chiesa. Queste crociate al contrario, invece, non aiutano proprio nessuno.

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L'autore: Alessandro Siro Campi

Alessandro Siro Campi nasce nel 1975. Si laurea nel 2000 in Ingegneria Informatica e consegue il dottorato nel 2004. Dal 2005 è ricercatore presso il Politecnico di Milano dove si occupa di Web e di interrogazioni e mining dei dati. Il suo blog personale è Alesiro
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