Lo scorso 10 dicembre, il giornalista del Fatto Quotidiano, Andrea Scanzi, aveva definito senza indugi l’elezione di Francesco Nicodemo a responsabile comunicazione del Pd “il più grande autogol di Renzi”. Lui avrebbe avuto la colpa di criticare prima il fondatore del giornale, Marco Travaglio, commentando una puntata di Servizio Pubblico, poi – sempre attraverso un cinguettio di Twitter – avrebbe recentemente attaccato direttamente Scanzi: “E’ un patetico”.
L’articolo cliccatissimo del giornalista del Fatto si concludeva con l’appello al sindaco di Firenze e neo segretario democratico: “Se Nicodemo resta al suo posto, vuol dire che il Pd di Renzi tollera unicamente la stampa che rema in suo favore. Vuol dire che Renzi avalla quella denigrazione e quegli insulti. Se Nicodemo resta al suo posto, vuol dire che il Pd di Renzi è prossimo al fascismo come concezione della libertà di stampa. E certo non lo è. Renzi vuole dimostrare di essere diverso da D’Alema o Berlusconi, che i giornalisti li hanno sempre trattati maluccio. Bene: dimostri di essere diverso. Non però nel senso che è addirittura peggio di loro, al punto da scegliere un “tifoso hooligan” (cit) come bodyguard anti-giornalisti”.
Nell’intervista all’Huffington post, Nicodemo ha detto di voler rispondere con “il silenzio zen”, così da non attirare altre attenzioni non gradite. Adele Sarno, blogger del sito intervistante, chiede i programmi futuri sulla comunicazione dei dem: “Oggi la comunicazione è completamente sbagliata e disorganizzata: c’è una web tv, un sito internet, i giornali di area, e una comunità di elettori sparsi per la rete. La sfida è riuscire nella comunicazione integrata”.
Ripropone l’idea renziana di partito, ovvero una comunità aperta anche agli elettori, non solo agli iscritti. Ecco perché il sito web “deve diventare la casa degli elettori: il luogo della trasparenza. Youdem deve diventare la comunità dove l’elettore è proattivo e non soltanto di spettatore (sic)”. Si è alla ricerca di quello che il responsabile comunicazione dei democratici chiama “un partito open polis”.
“E le differenze con Grillo?”, chiede Adele Sarno. “Noi – sostiene Nicodemo – dobbiamo riuscire dove Grillo ha fallito. Si può arrivare a immaginare che su alcune scelte che fa il Pd si possano interrogare i nostri elettori, con referendum o sondaggi. Deve essere quasi un obbligo per noi che abbiamo 300mila iscritti. Nel Pd community devono essere condivise anche le scelte di partito”. Una risposta da antologia.
Anzi, da statuto: la possibilità di indire referendum interni è all’interno della carta fondamentale del Partito Democratico da febbraio 2008, dal suo primo statuto post fondazione. Il partito diventerà “dinamico perché Renzi è credibile. Il partito non sarà un luogo statico”. E continua, “tutti potranno interagire, non solo iscritti ma anche gli elettori”. Le parole dei Renziani sono esemplari sviolinate all’impostazione partitica di Veltroni. Ciliegina sulla torta è la sentenza: “il partito che funziona, è quello aperto”.
“E le differenze con Berlusconi?”, insiste la Sarno. “Renzi non è leaderistico, a differenza di Berlusconi”, conferma Nicodemo. “Il messaggio dell’ex Premier è sempre stato unidirezionale. Per lui la svolta è stata nel mezzo: dai comizi alla televisione. È sempre stato un leader che parlava ai suoi elettori, prima ideologizzati, poi mediatizzati. Renzi, invece, è un leader che usa i media: non c’è distanza tra lui e il suo elettorato. Lui è già parte della community, a differenza di tanti politici che sono già su Facebook e Twitter. Interagisce, orienta, è influencer”. “Usa”, continua, “il soft power, non l’hard power”.
La sfida del neo responsabile comunicazione è aperta: “mettere insieme tutto ciò che c’è sui media sociali e tradizionali. Non c’è nulla che impedisce che il circolo vada online. Dagli amministratori ai cittadini, dai politici ai elettori, dai circoli ai militanti, tutto deve diventare open”. Perchè open significa trasparenza e trasparenza significa legalità ed il rapporto coi cittadini si ricuce anche in questo modo. Attraverso queste iniziative e con una nuova ventata di aria fresca: “per la prima volta il governo del partito ha in mano la generazione dell’Ulivo. Quelli che avevano venti anni quando vinse Prodi. Quelli che non sono legati a vecchi schemi e sono pronti ad accogliere le novità”. La nuova generazione, da domenica scorsa anche politica.