La ‘rivoluzione’ dei Forconi? Parecchi analisti, nei giorni scorsi, si sono cimentati nel tentativo di risalire alle origini del cosiddetto “Movimento del 9 dicembre”, elaborando ricostruzioni più o meno approfondite delle sue paternità e delle sue affiliazioni. L’anima di questa mobilitazione, il movimento dei Forconi, non è nuovo sulla scena pubblica. Già all’inizio dell’anno scorso aveva convogliato la protesta di alcune sigle sindacali di autotrasportatori, agricoltori e pescatori, inserendola in una cornice di generico meridionalismo e autonomismo siciliano.
La protesta finì per spegnersi dopo che il governo Monti concesse per decreto il rimborso delle accise sul gasolio e altre agevolazioni di categoria. La “rivoluzione” siciliana tentò allora di trasferirsi alle elezioni regionali di ottobre, incassando la visibilità ottenuta qualche mese prima. I due candidati alla presidenza legati al movimento – l’attuale leader dei forconi Mariano Ferro e il sindaco di Santa Teresa di Riva Cateno De Luca – raccolsero però percentuali paragonabili al PIL italiano in questi anni.
Oggi i forconi tornano alla ribalta. Si pongono al centro di una contestazione fluida, diffusa, magmatica. Le dietrologie prodotte dalla stampa in questi giorni abbondano; sul web non è difficile trovare ricostruzioni che legano la protesta ad ambienti politici di estrema destra, infiltrazioni anarco-insurrezionaliste e contiguità malavitose. C’è addirittura chi riconduce il tutto a Berlusconi e alla sua “rivoluzione contro la decadenza”.
Il punto è che, quali che siano le origini effettive, la protesta sembra davvero affermarsi come manifestazione del profondo disagio sociale. Con un certo sostegno popolare: secondo un sondaggio IPR Marketing per la trasmissione Matrix, sebbene solamente il 14% dei cittadini conosca le ragioni della protesta, più di due intervistati su tre dichiarano di appoggiare il movimento.
Cosa può diventare questa protesta? È anche solamente ipotizzabile che sia l’inizio di una vera e propria “rivoluzione”? Non potrebbe darsi che questo movimento si trasformi in una “rivoluzione italiana”, come non l’abbiamo mai vista? Al pari delle più note americana e francese, questa rivoluzione dovrebbe spazzare via l’ordine costituito e rappresentare un nuovo inizio per il popolo. In fondo il grido dei forconi e dei manifestanti tutti è quel “tutti a casa!” ormai ben noto nel dibattito pubblico italiano. È credibile?
Se scomodiamo così illustri antecedenti non possiamo fare a meno di notare delle “pesanti lacune” nel moto “rivoluzionario” dei forconi. Se il disagio del popolo è sicuramente palpabile (benché non omogeneamente diffuso: intere e numerose categorie di italiani vivono esattamente nelle stesse condizioni di prima dell’inizio della crisi, se non meglio) mancano sia una visione alternativa rispetto all’ordine attuale sia una élite rivoluzionaria capace di interpretare quel disagio, farsene espressione e trasformarlo in cambiamento complessivo.
La rivoluzione francese, per dirne una, ha prodotto un cambiamento radicale sul fronte politico, economico, sociale. Il disagio del popolo – sottolineato nelle narrazioni romanzate attraverso la frase emblematica di Maria Antonietta “Il popolo non ha pane? Che mangi brioches!” – era solo una delle componenti della miscela rivoluzionaria. Il popolo affamato fu il pretesto per innescare un cambiamento totale. Un cambiamento culturalmente fondato, decenni prima, dagli illuministi dell’Encyclopédie. Un cambiamento agognato dalla nascente borghesia urbana, ambiziosa e desiderosa di sostituirsi all’aristocrazia terriera e militare al vertice della struttura sociale ed economica. Il “terzo stato” era stanco non tanto dei privilegi della “casta” aristocratica, quanto della sua totale incapacità di accompagnare il cambiamento economico in atto in Europa e favorire lo slancio vitale del nascente capitalismo. A risultare intollerabili non erano le feste dei nobili, ma il tappo che rappresentavano per la società borghese.
Il cambiamento rivoluzionario si fondava dunque su basi culturali (Illuminismo), tecniche (rivoluzione industriale), sociali (borghesia) ed economiche (capitalismo). Produsse, almeno idealmente, uno stravolgimento politico-istituzionale (il costituzionalismo liberale) e socio-economico, gettando le basi per l’affermazione della Francia come potenza industriale europea.
La rivoluzione dei forconi non sembra altrettanto attrezzata dal punto di vista della visione complessiva. Non sembra, onestamente, quel fondamentale punto di contatto tra l’espressione del disagio del popolo e la proposizione di un nuovo modello di società. Per restare nella metafora francese, sembra che i forconi siano fermi alla ghigliottina.
Andrea Scavo