Cosa cambia se torna il Mattarellum
La vittoria alle primarie di domenica scorsa da parte di Matteo Renzi ha avuto un grande impatto sulla scena politica italiana. Il sindaco di Firenze, affermatosi nell’immaginario collettivo come “l’uomo del fare”, ha definito con molta chiarezza quelle che saranno le priorità del Partito Democratico e del governo Letta nei prossimi mesi.
Deciso a prosciugare il consenso di Grillo e Berlusconi, Renzi ha capito che prima di staccare la spina al governo delle intese “ristrette” è necessario alleviare i mal di pancia del Paese togliendo ai due principali avversari il monopolio delle istanze anti-casta. L’abolizione delle province e del Senato porterà a risparmiare circa un miliardo di euro, ripete come un mantra il neo-segretario democratico (per un fact-checking sul tema, si veda questo contributo su Pagella Politica).
Ma un altro macigno sulla strada verso le elezioni è la stesura di una nuova legge elettorale. Il dibattito sul tema si è infiammato dopo la sentenza della Consulta che ha bocciato per incostituzionalità tanto il premio di maggioranza alla Camera quanto le liste bloccate. In settimana, tra l’altro, la trasmissione “L’Aria che Tira” è andata a ripescare un discorso fatto quest’estate da Calderoli al Senato in cui l’autore del Porcellum contesta la sua paternità della legge e “fa i nomi” dei veri responsabili.
Sulla nuova legge elettorale si gioca ora una partita delicatissima, da cui dipendono le sorti della legislatura e dell’intero quadro politico italiano. Il Porcellum ha rappresentato finora la migliore garanzia per la sopravvivenza del governo Letta, ma dopo la sentenza della Corte la riforma non è più procrastinabile. Renzi ha dichiarato più volte di essere aperto a qualsiasi modello di ispirazione maggioritaria, ma lo scenario è ben più complesso.
In questa palude una proposta che si sta facendo strada è quella di un “semplice” ritorno al Mattarellum, il sistema in vigore fino al 2005. Un impianto maggioritario con un’importante quota proporzionale che ha rappresentato per diversi anni un compromesso tra l’esigenza della governabilità e quella della rappresentatività. Ma cosa succederebbe se il Mattarellum tornasse in vigore oggi?
Nelle tre elezioni svoltesi con il Matterellum (1994, 1996 e 2001) il quadro politico era fortemente bipolare: centrodestra e centrosinistra si affrontavano con coalizioni vaste ma definite e un candidato premier riconoscibile. Fa in parte eccezione il caso del 1994, quando a Berlusconi e Occhetto si aggiungeva Segni con il suo Patto per l’Italia a rappresentare un terzo polo.
Il quadro politico odierno è decisamente “tripolare”: PD (eventualmente in alleanza con SeL), area del centrodestra capeggiata da Berlusconi, Movimento 5 Stelle. Un sistema maggioritario spingerebbe sicuramente all’aggregazione dei partiti “minori” attorno alle forze principali: il Nuovo Centrodestra di Alfano & Co. avrebbe vita dura correndo da solo, e sarebbe probabilmente tentato di tornare “all’ovile” insieme a Forza Italia, alla Lega e agli altri partitini del centrodestra. A sinistra il quadro appare più semplice (una riedizione di Italia Bene Comune sembra la scelta più probabile), mentre il Movimento 5 Stelle sarebbe coerentemente irriducibile a qualsiasi alleanza. Che esito uscirebbe dalle urne?
Posto che ci sarebbe una campagna elettorale da affrontare, in cui si sfiderebbero tre autentici “big” della comunicazione, vale la pena di sottolineare come nemmeno questa legge garantisca la formazione di una chiara maggioranza parlamentare. Decisivo risulterebbe, in particolare, il risultato di Grillo: se il suo movimento riuscisse ad affermarsi come prima forza in un certo numero di collegi uninominali è probabile che nessuna delle due coalizioni (che nei sondaggi risultano oggi grossomodo alla pari) otterrebbe una maggioranza, alla Camera come al Senato.
Grillo risulterebbe ancora una volta l’ago della bilancia, se riuscisse a eleggere un numero di deputati (o senatori) “indispensabili” per la fiducia. Non è detto che ci riesca: una legge elettorale con sistema uninominale a turno unico tenderebbe a premiare l’effetto-aggregazione delle coalizioni. Grillo riesce a raccogliere consenso sulla scena nazionale, incentrando la comunicazione su di sé. Ma il suo punto debole, si sa, sono i candidati locali (l’incredibile sequenza di flop alle amministrative lo dimostra), e con il Mattarellum questi dovrebbero cercarsi i voti nei loro collegi.
Ma l’eventualità di ritrovarsi con un parlamento diviso rimane. Prendendo come riferimento il dato delle ultime politiche, diviso su base provinciale (con tutte le “pinze” del caso), il M5S è risultato la prima “coalizione”, superando centrodestra e centrosinistra, in ben 21 province su 109. Abbastanza da essere potenzialmente determinante. Forse che neanche il maggioritario ci salverebbe dalle larghe intese?