Aung San Suu Kyi, leader della Lega Nazionale per la Democrazia (LND) e Consigliere di Stato, ha ottenuto una “landslide victory” alle elezioni per il rinnovo delle due camere del Pyidaungsu Hluttaw (Parlamento birmano) tenutesi l’8 novembre scorso, che riconfermano il partito del Premio Nobel per la pace alla guida del Paese.
Gli sviluppi democratici
Grazie alla Costituzione del 2008 scritta sotto la giunta militare del generale Ne Win, le forze armate, chiamate “Tatmadaw“, controllano 1/4 dei seggi del Parlamento e importanti Ministeri quali: Interni, Difesa e Frontiere. Ciò porta il totale dei seggi eleggibili da 664 a 476 divisi tra la Camera dei rappresentanti e la Camera delle Nazionalità. Di questi, 396 seggi sono andati alla Lega Nazionale per la Democrazia, conquistando 6 seggi in più delle scorse elezioni, mentre il principale partito di opposizione, il Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione con a capo Than Htay, erede del partito della giunta militare “Associazione per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione“, ha ottenuto 33 seggi, perdendone 8 rispetto alle ultime elezioni.
Membri del partito di opposizione denunciano elezioni non libere e truccate, chiedendo che vengano ripetute. La Commissione elettorale del Paese ha successivamente comunicato che non risultano evidenze di irregolarità o di brogli nel processo di voto e che esso è stato sicuro e completamente trasparente – stessa dichiarazione fatta anche dai vertici delle forze militari. Inoltre è stato registrato un discreto aumento dei seggi per i partiti etnici come la Lega Nazionale per la Democrazia Shan, che ha conquistato 40 seggi.
Situazione al voto
The Rohingya are one of the most discriminated against and vulnerable communities on Earth. The Rohingya refugee crisis is a humanitarian and human rights nightmare. I thank Bangladesh for its generosity in hosting the refugees. https://t.co/XURgYHxBCz pic.twitter.com/7U684QN5uP
— António Guterres (@antonioguterres) July 1, 2018
L’atmosfera in cui si sono svolte le elezioni è stata di tensione, dovuta sia al recente aumento dei casi di Covid-19 nel Paese, che si aggirano intorno ai 1.000 casi giornalieri, sia per i conflitti che affliggono la regione di Rakhine. In questa area le forze militari birmane cercano di reprimere l’etnia musulmana dei Rohingya dal 2017, anno in cui sono iniziati i conflitti e la fuga della minoranza verso Bangladesh, Malesia e Indonesia; a causa di ciò il Paese è imputato dalla Corte internazionale di Giustizia di genocidio. Considerata la situazione, la Commissione elettorale ha annullato il voto in alcune zone di conflitto, colpendo circa 1,5 milioni di persone ed escludendo così i Rohingya dalle urne.
Questo clima non ha fatto altro che trasformare le elezioni in un referendum sull’attuale esecutivo a guida Aung San Suu Kyi, divenuta ancora più popolare in patria grazie alle sue posizioni contro la minoranza dei Rohingya – visti come terroristi separatisti dal Governo – e in difesa della popolazione birmana della zona.
Sul lato internazionale, invece, ciò ha provocato la caduta della sua figura di paladina dei diritti democratici conquistata nel lungo periodo dei suoi arresti domiciliari in Myanmar.