Intervistato da Roberto Rho su La Repubblica di Milano, Giuliano Pisapia, compie il bilancio della prima metà del suo mandato: il Sindaco di Milano sostanzialmente si promuove. Se teniamo conto “della crisi economica che causa tassi di disoccupazione e povertà sempre più alti, ed è all’origine del taglio dei fondi dal governo centrale alle amministrazioni locali, abbiamo fatto più di quanto si potesse pensare, abbiamo piantato i pilastri di una vera rivoluzione metropolitana”.
Al giornalista che gli chiede se non stia effettivamente esagerando con il termine di “rivoluzione metropolitana” risponde: “I dati ci dicono che Milano ha compiuto balzi in avanti in tutte le classifiche, dalla qualità della vita alla soddisfazione dei cittadini, dalla mobilità “dolce” alla raccolta differenziata fino all’innovazione: siamo una delle tre città più smart d’Italia e tra le prime dieci in Europa”.
Allora come la mettiamo con l’aumento del costo dei servizi, costano tutti di più rispetto a tre anni fa, e l’addizionale Irpef aumentata proprio da Pisapia? Il Sindaco non nega le sue responsabilità: “E’ vero abbiamo aumentato l’Irpef ma abbiamo salvaguardato le fasce più deboli grazie al più alto livello di esenzione tra le città italiane” d’altronde i soldi per amministrare una città come Milano da qualche parte si devono pur trovare visto che “la disponibilità di fondi pubblici, rispetto a tre anni fa, si è abbattuta di diverse centinaia di milioni all’anno”.
Pisapia, forte dei conti rimessi in ordine grazie alla sua amministrazione, della riduzione del 40% del volume delle nuove costruzioni prevista dal Piano di governo del territorio, della ridistribuzione di 280 spazi pubblici inutilizzati, fa notare che Milano è di nuovo al centro delle attenzioni internazionali anche in materia di solidarietà sociale oltre che di vivibilità. Registro delle unioni civili, biotestamento, casa dei diritti, car sharing, Area C, nuove piste ciclabili. Una sola cosa non è riuscita al Sindaco: “Migliorare il rapporto dei cittadini con l’amministrazione” attraverso una “sburocratizzazione”.
Un quadro idilliaco, fin troppo idilliaco, quello presentato da Pisapia, se consideriamo i mille cantieri aperti e la Moschea che ancora non c’è con l’Expo ormai alle porte: che fine hanno fatto le speranze di cambiamento che portarono alla sua elezione? “C’erano tante speranze, tante attese e l’entusiasmo dei moltissimi che realizzavano come l’opportunità del cambiamento fosse finalmente a portata di mano. Difficilissimo tener vive quelle sensazioni in un tempo così lungo e in condizioni generali così avverse, eppure io vedo ancora tantissime persone che lavorano per la città”.
C’è ancora tanto lavoro da fare ma Pisapia non è sicuro di ricandidarsi: “ Diciamo che per finire le cose che ritengo giusto fare per questa città cinque anni non bastano, ne servono dieci. Dopo di che, decideranno i cittadini. Finita l’Expo faremo una riflessione, valuteremo insieme. Io credo in questa città e il mio impegno c’è e ci sarà”.
Forse pesa, sulla vaghezza della risposta, anche la tentazione di passare alla politica nazionale per rappresentare una parte di sinistra in attesa di trovare un suo referente: “Nel cambiamento su scala nazionale io ci credo ancora, anzi ci credo ancora di più perché adesso c’è da battere il populismo che rischia di fare danni devastanti. Il mio impegno ci sarà, non so dire se anche sul piano istituzionale. Mai dire mai. Ma adesso la mia testa è e resta completamente concentrata su Milano”.