E’ stato (e forse parlarne al passato non risponde alla realtà) uno scontro misterioso (ma non troppo) quello di Juba, capitale del Sud Sudan, che ha fatto gridare al golpe. Uno scontro misterioso, e per molti versi clamoroso, dato che si è sparato in una capitale africana nella quale c’è una forte presenza di stranieri e di organizzazioni per la cooperazione. Misterioso perché a spararsi, pare, siano stati gruppi opposti di militari il che farebbe pensare a un tentativo di rovesciare gli uomini al potere. Ipotesi questa suffragata dal fatto che il presidente Salva Kiir, che di solito si presenta in pubblico con un largo cappellone nero, si è invece presentato ad una conferenza stampa in divisa mimetica da comandante militare e ha chiaramente denunciato un tentativo di colpo di stato del suo ex vice Riek Machar.
Testimoni sul posto hanno parlato di uno scontro che ha opposto militari fedeli al presidente Salva Kiir e della sua etnia, i Dinka, e truppe appartenenti all’etnia di Machar, i Nuer. Pare che gli scontri siano divampati all’interno della più importante base militare del paese, vicino alla capitale, e da lì si siano estesi. Per la verità che i rapporti tra Salva Kiir e Riek Machar fossero sul punto di degenerare lo si sa da tempo. Almeno da quando, a inizio anno, Machar ha annunciato l’intenzione di candidarsi alla presidenza in occasione delle elezioni del 2015 ed è stato poi destituito dall’incarico di vice-capo dello Stato e costretto a lasciare l’ufficio politico del partito di governo. Stando così le cose si tratta di un banale e pericoloso scontro di potere che potrebbe trascinarsi dietro le due più importanti comunità del paese, i Dinka e i Nuer, appunto.
E sappiamo che quando due gruppi di potere si scontrano è facile che, dall’esterno, lobby politiche, economiche e commerciali puntino su uno dei due contendenti per favorire i propri interessi e finiscano per alimentare il conflitto, magari favorendo l’ingresso di armi per i propri protetti, denaro, promesse e riconoscimenti.
Il Sud Sudan è uno dei paesi più poveri e più fragili del panorama africano. Eppure uno dei paesi più ricchi di petrolio che rappresenta l’unica esportazione. Che però non viene più esportato perchè non ci sono sbocchi sul mare, non c’è un terminale e non ci sono oleodotti per il suo trasporto. Queste infrastrutture si faranno, ci sono diversi progetti ma chi favoriranno? Le potenze emergenti asiatiche? O quelle tradizionali? E quali paesi della regione verranno favoriti con i diritti di passaggio degli oleodotti e con la scelta del teminale? Port Sudan? O la costa del Kenya, vicino Lamu?
Insomma le questioni aperte sono tante e il Sud Sudan è una bandiera al vento che sventolerà a favore del più forte. Il conflitto è aperto e lo scontro di potere interno cade a proposito per mascherare le spinte esterne.
Le grandi speranze che questa ultima indipendenza africana aveva suscitato sembrerebbero già iscritte sul libro delle delusioni.