500 giovani per la cultura
500 giovani per la cultura. È stato presentato il 6 dicembre scorso il Bando “500 giovani per la cultura”, già previsto dal decreto legge approvato in ottobre. Fortemente voluto dal Ministro dei Beni culturali Massimo Bray, che si è sempre dimostrato entusiasta dei nuovi provvedimenti. Contenuto del bando è l’offerta di 500 posti a laureati con 110/110 e con una conoscenza dell’inglese pari ad un livello B2, per un’attività della durata di 12 mesi che consiste nel catalogare e digitalizzare il vasto patrimonio culturale italiano. Peccato che l’entusiasmo, anche questa volta, non sia condiviso da tutti.
Se dopo il DL “Valore Cultura” i dissensi provenivano da teatri e musei, alla luce del bando pubblicato dal Ministro sono i neolaureati a sentirsi offesi.
A scatenare la polemica, innanzitutto il compenso previsto per questa attività, pari a cinquemila euro lordi l’anno distribuiti in 30 ore settimanali (3,50 euro all’ora). In secondo luogo la natura stessa dell’incarico proposto, che non ha nessuna pretesa di essere un posto di lavoro stabile e nemmeno di garantire un’occupazione futura.
Di qui la gaffe del premier Letta che ha annunciato la misura parlando di “assunzioni”, guadagnandosi all’istante l’errata corrige del Ministro Bray. Si tratta piuttosto di uno stage, ma anche sotto questo punto di vista di profila un problema: secondo il regolamento di alcune Regioni italiane – al quale rimanda il testo promulgato dal Ministero – il compenso minimo per gli stagisti va ben oltre la ricompensa prevista da questo “programma formativo”.
Per tutti questi motivi, i dissensi si sono fatti sentire eccome: «È un insulto – attacca Salvo Barrano, presidente dell’Associazione nazionale archeologi – Come si può pensare di pagare 3,50 euro all’ora per 30 ore settimanali laureati con il massimo dei voti, con competenze specifiche, senza dare loro certezze per il futuro?» Aggiungendo che «gli elenchi del ministero sono pieni di professionisti già formati che non ricevono un incarico da anni» e che quindi, a regola, spetterebbe prima a loro.
Il Ministro Bray ha deciso di non rimanere indifferente alle critiche e lo ha dimostrato pubblicando un editoriale sul suo sito personale, in cui spiega le ragioni del bando: «In questo momento, come sapete, il Mibact, e insieme ad esso tutta la Pubblica Amministrazione, non può assumere personale […] Nel frattempo abbiamo la possibilità di impegnare 2,5 milioni di euro in formazione: con il decreto “Valore Cultura” abbiamo pensato di dedicarli a 500 giovani, per offrire a neolaureati l’opportunità di una specializzazione che li portasse dentro il patrimonio culturale. […] Abbiamo richiesto requisiti alti, perché cerchiamo di costruire un’Italia del merito […] Rivedrò personalmente tutte le clausole del bando per accertarmi che siano corrette e ove ci fossero errori porremo rimedio».
E in effetti le correzioni ci sono state, con la riduzione del voto minimo da 110 a 100 e del livello di inglese richiesto, ma anche il numero di ore che, scendendo a 600, di fatto mascherano la misera retribuzione. Nonostante questo, c’è chi non è disposto a patteggiare: è previsto un sit-in di fronte al Ministero e una manifestazione per l’11 gennaio. Obiettivo? Il ritiro del bando, rinominato da alcuni “500 schiavi”.