“L’euro è irreversibile. In Italia forse vi ricorderete le ripetute svalutazioni competitive, che erano anche una conseguenza della perdita di competitività causata da un’inflazione eccessiva, la volatilità del cambio, gli interessi sui debiti a due cifre, e un’inflazione che era appunto più alta che in qualsiasi altro Paese e che si mangiava il potere d’acquisto di salari e pensioni”. Lo afferma Peter Praet, capoeconomista della Bce, in un’intervista alla Stampa. “Se usciste dall’euro, la prima questione sarebbe: chi paga cosa, con che valuta, e quando? Finireste in un incubo di dispute legali”, avverte Praet. “E anche se fosse permesso saldare i propri debiti in euro nella nuova lira, potete immaginare quanto sarebbe oneroso per il debitore ripagare il suo debito in una nuova valuta che si sarebbe nel frattempo drammaticamente svalutata contro l’euro?”. Per Praet “l’Italia sembra stia uscendo dalla recessione, ma il punto di svolta è ancora molto fragile, siamo appena agli inizi. Ci sono rischi al ribasso, soprattutto se si fermano le riforme strutturali. Molte imprese dicono che la situazione migliora, le riforme si stanno realizzando, ma non sono ancora pronti ad investire. Sono in attesa”. In Italia, osserva l’economista, “c’è stata una forte contrazione degli investimenti produttivi. Gli investimenti nell’euro area sono caduti del 20% dall’inizio della crisi, ma in Italia di quasi il 30%». Sulle politiche di austerità, “l’impatto del consolidamento dei conti dipende da come lo costruisci, non solo dunque se aumenti le tasse o tagli le spese, ma anche quali tasse aumenti e quali spese tagli”, osserva Praet. “In Italia fino ad oggi vi siete focalizzati soprattutto sulle tasse, poco sulle spese”.