Dietrofront del Partito Democratico. Dopo la denuncia del grillino Fraccaro, circa i mega canoni di locazione di alcuni edifici parlamentari, il Pd presenta un emendamento al decreto “Salva Roma”, che annulla la norma soppressa da Palazzo Madama sugli “affitti dei palazzi del potere”. La discussione sarà serrata e dura, questo è certo, ma qualora l’emendamento democratico, non co-firmato da altri gruppi parlamentari, verrà approvato, la Pubblica Amministrazione (Stato, Regioni ed enti locali) potrà recedere entro il 31 dicembre 2014 i contratti di locazione degli immobili in questione.
Il caos del Salva Roma porta Renato Brunetta a criticare l’esecutivo. “Governo e maggioranza in stato comatoso. Prima producono gli ingorghi parlamentari, subiscono gli assalti delle loro clientele, per poi finire sotto il ricatto delle cattive burocrazie ministeriali – dice capogruppo dei deputati di Forza Italia – Il risultato è che la legge di stabilità dovrà essere modificata ulteriormente al Senato domani e dovrà tornare alla Camera subito dopo Natale, per porre rimedio a un’infamia clientelare. Così come per il decreto cosiddetto `Salva Roma´, su cui il governo indeciso a tutto è stato costretto a mettere la fiducia senza che ci sia una prospettiva seria di approvazione entro i termini di legge, cioè entro il 30 dicembre. Finale d’anno caotico e inverecondo. Il presidente Letta farebbe bene a trarne le conseguenze”. Il segretario del Pd Matteo Renzi è d’accordo con il M5s. “La norma contro gli affitti d’oro è giusta, sono d’accordo con i cinque stelle”.
La vicenda – “Le amministrazioni dello Stato, le Regioni e gli enti locali, nonché gli organi costituzionali nell’ambito della propria autonomia, hanno facoltà di recedere, entro il 31 dicembre 2014, dai contratti di locazione di immobili in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il termine di preavviso per l’esercizio del diritto di recesso è stabilito in trenta giorni, anche in deroga a eventuali clausole difformi previste dal contratto”. Questo articoletto, per la precisione 2-bis del d.l. (decreto legge) 120/2013, con modificazioni, dalla legge del 13 dicembre 2013, è stato soppresso.
La sua vita? Tutta in una settimana: sei giorni fa il Senato approva, oggi boccia. Il recesso della locazione di immobili destinati alla Pubblica Amministrazione è stato cancellato in fretta e furia. Del resto, alcuni di questi palazzi, come Palazzo Marini, gli edifici che ospitano le segreterie dei deputati, sono stati presi in affitto anni fa, attraverso il meccanismo del ‘global service’, dall’immobiliarista Sergio Scarpellini, generoso di finanziamenti a partiti di destra e sinistra. L’operazione è cosa vecchia: fine anni 90’. Scarpellini, attraverso un accordo bipartisan, stipula un contratto (senza gara d’appalto, si intenda) tra la sua società, Milano 90, è la Camera dei Deputati, mettendo a disposizione di Montecitorio stanze e servizi di quel palazzo. Ed il prezzo è risultato tutt’altro che a buon mercato: 500 euro annui a metro quadro. La Camera dei Deputati, praticamente, avrebbe speso ben 444 milioni di euro per diciotto anni di affitto di quei quattro edifici. Sarebbe stato comprato a mani basse con una somma tale
Dopo anni di sforzi si era riusciti a disdettare un edificio. Presa come base la disdetta del primo, attraverso l’approvazione della ‘manovrina’ si era riusciti ad abbattere la resistenza alla rescissione dei contratti per gli altri tre edifici (26 milioni di solo canone). A tempo record però (sei giorni), a Palazzo Madama si discute del decreto “misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali”, un emendamento che cancella la disposizione passata. Si ritorna lo status quo. Per la casta – ed in questo caso va usato il termine – si può tirare un sospiro di sollievo: i voti della maggioranza vengono surclassati. C’è qualcuno dell’opposizione che vota con le larghe intese per il mantenimento degli altissimi canoni d’affitto degli uffici di Montecitorio. Alla Camera il 5 Stelle Fraccaro ripropone tale e quale il decreto che comporta la possibilità di disdetta da quell’onerosissimo contratto: è, ovviamente, bocciato. Ma comunqe è un segnale. Un’indicazione di cambiamento, da parte dei grillini, contro l’arroccamento delle vecchie posizioni, sebbene il nuovo corso renziano. Fraccaro sfida il neo segretario dem: “L’ufficio di Presidenza si è detto disponibile a riproporre la questione. Vediamo se Renzi è coerente”. Ma si sa: i tempi della politica cambiano così in fretta, a volte più della società. Renzi, che ha giurato di tagliare di un miliardo i costi della politica, certificati dalla Uil per 23 miliardi circa (http://www.termometropolitico.it/91817_la-politica-costa-23-miliardi-lanno-757-euro-testa.html), , deve fare i conti con un gruppo parlamentare poco renziano, una schiera che è stata votata in quote diverse dalla corrente del sindaco di Firenze e che poi si è spostata con Renzi, alla vecchia maniera trasformista, poco tempo prima del congresso per evitare di essere spazzata via.
Daniele Errera