Maria Alyokhina è la prima del collettivo femminista delle Pussy Riot ad essere stata rilasciata. L’attivista politicamente impegnata fu arrestata assieme ad altre due ‘colleghe’ il 21 febbraio del 2012, a soli ventiquattro anni, per una preghiera/concerto ‘blasfema/o’ anti Putin, che ad agosto sarebbe stato rieletto Presidente della Federazione Russa, nella cattedrale di Cristo Salvatore di Mosca, la capitale russa.
La Alyokhina, stando alle parole del suo avvocato, “è stata liberata, tutti i documenti sono stati redatti e firmati”. La scarcerazione, arrivata attraverso un atto di amnistia votato il 18 dicembre dal Parlamento Russo, la Duma, ha condonato due anni di prigione alla membra della Pussy Riot per la pena di “teppismo motivato da odio religioso”. Il collettivo nacque il giorno in cui Vladimir Putin annunciò la sua corsa per la rielezione alla Presidenza della Federazione, carica di cui fu detentore dal maggio 2000 al 2008 essendo successo a Boris El’cin.
E le altre attiviste della ‘blasfemia’ nella cattedrale moscovita? Yekaterina Samucevic era stata già scarcerata con la condizionale nell’anno passato. Adesso la Alyokhina. L’appello si conclude poche ore fa: intorno alle 11:55 anche Nadia Tolokonnikova, detenuta in un ospedale carcerario in Siberia, definito da suo marito come vero e proprio campo di lavoro, è stata liberata dall’ospedale numero 1 del Servizio Penitenziario regionale di Krasnojarsk ed il suo ritorno a casa è previsto nelle prossime ore.
La reazione della Alyokhina è stata spiazzante. Ha, anzitutto, dichiarato che l’operazione della Duma sia stata solo ed esclusivamente un’operazione di facciata: “acrobazia di pubbliche relazioni”. Ha concluso poi con la seguente dichiarazione forte: “se avessi avuto la minima opportunità di rifiutare l’amnistia, l’avrei fatto. L’amnistia di Putin è una farsa”.