Francia: la politica estera di Hollande, tra gaffes e protagonismo
Non c’è pace per François Hollande. Il presidente francese più impopolare della V Repubblica ha dovuto fronteggiare l’ennesima valanga di critiche ai suoi danni. L’ultimo stillicidio di accuse al Capo di Stato socialista viene dal fronte politico estero: lo scorso 16 dicembre, nel corso delle celebrazioni per i 70 anni del Consiglio delle Istituzioni Ebraiche di Francia (CRIF), Hollande si era pronunciato con una battuta sulla recente visita del suo premier Jean-Marc Ayrault e del ministro dell’Interno Manuel Valls in Algeria. Con un tono scherzoso, il Presidente aveva dichiarato: “Valls è tornato sano e salvo da Algeri. E non è poco”.
Una vera e propria gaffe che ha creato non poco imbarazzo e riprovazione in seno governo dello Stato arabo (indipendente dal 1962 ma nel caos da più di vent’anni), che per bocca del suo ministro degli Esteri Ramtane Lamamra ha parlato di “Incidente deplorevole” nelle relazioni tra i due Paesi. La stampa algerina ha bollato il caso come una “Battuta di cattivo gusto”con cui, peraltro, Hollande si sarebbe “Preso gioco dell’Algeria davanti agli ebrei”.
Sulla vicenda è tornato in seguito lo stesso Presidente della Repubblica domenica 22 dicembre, attraverso un comunicato stampa nel quale Hollande ha espresso “Sincero rammarico per il modo in cui è state interpretato il suo pensiero (…) Le parole pronunciate nell’ambito del 70° anniversario del CRIF hanno causato una polemica senza fondamento. Tutti conoscono il sentimento di amicizia che lega François Hollande al popolo algerino”. Una toppa che, evidentemente, non è riuscita a sanare il buco politico-diplomatico: ai malumori di Algeri si sono aggiunti a stretto giro i commenti al vetriolo degli avversari politici interni del Presidente, tra i quali spiccava un “Nauseato” Jean-Luc Mélenchon, leader del Front de Gauche (principale soggetto della sinistra anticapitalista francese).
Hollande è dunque scivolato con una “boutade” proprio su un versante che, per la verità, lo ha sempre visto indiscusso protagonista nel panorama occidentale. La politica estera rappresenta, notoriamente, il perimetro d’azione in cui governo socialista si è maggiormente distinto per tempestività ed efficacia. L’intervento umanitario in Mali a sedare la guerra civile, l’attivismo sul capitolo Siria (la Francia è stato uno dei primi Paesi a legittimare i ribelli di Damasco) e, ultima in ordine di tempo, l’operazione “Sangaris”con conseguente invio di truppe nella Repubblica Centrafricana, per arginare gli effetti del colpo di Stato Séléka.
L’interventismo francese nel Continente Nero fa parte della strategia a difesa di un asset fondamentale per il governo di Parigi, come le relazioni con le ex colonie (e non solo) a sud del Mediterraneo. Lo stesso Hollande, nel corso di un vertice italo-africano di inizio dicembre, esortava i soggetti economici più floridi dell’area ad investire nella “vecchia” Francia. Toni più che mai concilianti, lontani da quell’infelice “L’Uomo africano non è entrato appieno nella Storia” pronunciato dal predecessore Sarkozy a pochi mesi dall’inizio del mandato.
Detestato in patria su fisco e politica economica, invocato dalle ex colonie. Il decisionismo di Hollande spicca in un quadro diplomatico europeo pressoché impalpabile rispetto alla risoluzione delle crisi internazionali. A livello comunitario, il peso specifico della “Signora Pesc” Katherine Ashton è ancora tutto da dimostrare, con una Germania (troppo occupata nella difesa del rigore economico) che da tempo sembra aver intrapreso la strada della neutralità, fin dall’astensione nel Consiglio di Sicurezza ONU in merito all’intervento NATO in Libia nel 2011.
François Hollande, in un anno e mezzo di mandato all’Eliseo, ha dunque mosso molto e (per molti) bene le pedine dello scacchiere della politica estera dell’Esagono, coadiuvato da un dirigente di lungo corso della diplomazia come l’ex mitterandiano Laurent Fabius. Quelle che per molti osservatori hanno il sapore di paternalismo post-coloniale sono, d’altro canto, iniziative che ripropongono la Francia come attore di primo piano delle Relazioni Internazionali. Malgrado l’evidente declino economico.