Mps, no all’aumento di capitale a gennaio. M5S: “Vogliono completare il saccheggio”
Disco rosso da parte della fondazione Mps alla proposta del cda di Alessandro Profumo di far partire a gennaio l’aumento di capitale da 3 miliardi necessario per cominciare a restituire i 4 miliardi di aiuti di Stato fatti avere da Monti. La presidente della fondazione Antonella Mansi (che detiene il diritto di veto sulle operazioni, in forza del 33,5% delle azioni dell’istituto di credito) nel primo pomeriggio ha fatto bocciare la proposta del cda con il 69,06% dei presenti.
La fondazione, insomma, prende tempo, che le serve soprattutto per cercare di vendere le proprie azioni, ripagare 340 milioni di debiti, cercando di rimanere “azionista rappresentativo” dell’istituto: “La proposta del consiglio della banca – aveva assicurato in mattinata la Mansi – non ha oggi alcuna possibilità di essere approvata e la fondazione ha il dovere ineluttabile di votare solo ed esclusivamente la propria proposta di aumento con esecuzione differita di alcuni mesi”.
Di fatto, l’assemblea si è trasformata in un muro contro muro tra la dirigenza dell’istituto di credito e il soggetto che detiene il pacchetto più consistente delle azioni: di fatto, a qualche istituto di credito il voto contrario è parso un voto di sfiducia diretto allo stesso Profumo, e lui stesso potrebbe leggere in questo modo la decisione, potendo trarre conclusioni fino alle dimissioni.
A chi prospetta questo scenario (che riguarderebbe forse anche l’amministratore delegato, Fabrizio Viola e metterebbe a rischio il piano di ristrutturazione imposto da Bruxelles) risponde lo stesso Profumo: “Sono decisioni che si assumono a sangue freddo e nei luoghi deputati. Avremo un cda a gennaio e lì valuteremo che cosa fare. Non c’è nessun palio personalistico: tutt’al più c’è un palio con i contribuenti italiani, che con l’aumento di capitale riceverebbero 3 miliardi oltre a 300 milioni di interessi”.
Per la presidente della fondazione l’istituto senese è ancora una banca “sana e affidabile” e nega che vi sia alcun conflitto di interessi: “Dovremmo parlare non di conflitto di interessi ma di conflitto di doveri – ha detto la Mansi -. Proprio perché non siamo un azionista che del proprio denaro può fare quel che vuole ma dobbiamo perseguire scopi di utilità sociale, per noi la tutela dell’integrità del patrimonio non è un optional: non potete chiederci di fare crollare proprio noi l’edificio che ci è stato affidato dalla legge”.
In particolare, l’aumento di capitale a brevissimo termine finirebbe per distruggere il patrimonio della fondazione, cosa che il soggetto non accetta, così come respinge al mittente i timori del cda di non riuscire a costituire un consorzio di garanzia o di rischiare la nazionalizzazione dell’istituto di credito: “E’ molto difficile pensare che il terzo gruppo bancario non riesca a trovare da maggio 2014 un consorzio di garanzia”. Non è dello stesso avviso Profumo: “Da qui a maggio non sappiamo che cosa succederà sul mercato, sappiamo solo che ci sono 120 milioni di interessi in più che graveranno su tutti gli azionisti”. Perché i “Monti bond” vanno restituiti entro il 2014, “altrimenti la banca sarà nazionalizzata”.
M5S: “Completano il saccheggio” – Sulla questione interviene anche il M5S, con il gruppo senese che pubblica un post sul blog di Beppe Grillo: “Frange del Pd e un pool di banche “selezionate” stanno finendo di saccheggiare quello che rimane del Monte dei Paschi”. Profumo, in particolare, avrebbe la colpa di avere fatto mancare il quorum in prima convocazione, lasciando alla fondazione “potere di vita o di morte sul piano industriale proposto dal cda”. Una mossa che nasconderebbe “il tentativo ultimo e definitivo di sottrarre il Monte dei Paschi alla comunità ed al territorio di riferimento”.
In sostanza, il no della fondazione all’aumento di capitale vorrebbe innanzitutto evitare all’ente di scendere “in pochi mesi ben sotto il terzo del capitale societario. Anzi, sarebbe quasi certamente destinata all’estinzione”. Che, secondo il M5S, è quello che vorrebbero le banche, avendo “il potere e l’opportunità di spolpare e azzerare definitivamente il controllo pubblico della storica banca, dopo oltre cinquecento anni”. Si tratterebbe di un muro contro muro: “Da una parte c’è il presidente Profumo, frange del Pd (la potente corrente dalemiana) e le banche creditrici, in larga parte straniere. Dall’altra la Confindustria, l’amministrazione comunale di fede renziana, e la presidente dellafFondazione Mansi. Vecchia politica e antichi interessi fioriscono ancora sotto la torre del Mangia.”
Gabriele Maestri