Durante il Plenum del Partito Comunista Cinese di metà novembre, era stato annunciato il “nuovo corso” del colosso asiatico in economia e in materia di diritti individuali: ora le proposte formulate in quella sede sono state ufficializzate dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del Popolo, organo che ratifica tutte le decisioni del partito unico. In Cina da oggi non esisteranno più i “laojiao”, i campi di rieducazione attraverso il lavoro, e verrà permesso alle coppie che abitano in città, formate da almeno un figlio unico, di aver più di un bambino.
Il controllo delle nascite introdotto dal successore di Mao, Deng Xiao Ping nel 1979, vietava alle coppie urbane di aver più di un figlio, mentre a chi abitava in campagna si consentiva di averne un altro se il primo nascituro fosse stato di sesso femminile. Si consentiva di avere una famiglia “allargata” anche agli appartenenti alle minoranze etniche e alle coppie formate da “figli unici”.
Una legge molto rigida che verrà gradualmente abolita e che ha portato un terzo dei cittadini cinesi a rinunciare ad avere un secondogenito, almeno 400 milioni i bambini mai nati in ottemperanza al divieto: in caso di contravvenzione le multe erano salatissime e spesso venivano stabilite arbitrariamente da funzionali locali. La “legge del figlio unico” ha permesso al governo di stabilizzare il numero dei cinesi, oggi circa 1,3 miliardi, ma ha creato anche effetti perversi: nel 2050 un quarto degli abitanti della Cina avrà più di 65 anni, le fabbriche già cominciano ad accusare carenza di manodopera e i costi dell’assistenza sanitaria aumentano vertiginosamente.
Inoltre preferendo i figli maschi non solo è stato incentivato il ricorso all’aborto ma si è creata una forte sproporzione tra i due sessi: 115 maschi contro 100 femmine, quindi si prevede che 20 milioni di cinesi maschi non potranno trovare una “compagna”. Adesso che la legge ha subìto un decisivo ma lieve allentamento (la sua applicazione rimane sempre vincolata alle decisioni di funzionari provinciali) non si prevede comunque un baby boom; i costi dell’educazione restano alti nelle aree urbane così come gli affitti. Si calcola che su 20 milioni di famiglie cinesi, solo la metà proverà a dare un fratello o una sorella al proprio primogenito.
L’altra grande riforma annunciata da Pechino è la chiusura dei “laojiao”, veri e propri campi per il concentramento di oppositori politici e semplici cittadini colpevoli di protestare contro le ingiustizie subite dal potere locale, oltre che criminali comuni puniti per furti, prostituzione e uso di stupefacenti. In Cina ci sarebbero 260 campi di “rieducazione attraverso il lavoro” con, al loro interno, tra i 160 e i 190 mila prigionieri che non hanno subito alcun processo perché è la polizia che, senza bisogno di alcun permesso, può infliggere una detenzione amministrativa, fino a 4 anni che spesso si protraggono indefinitamente, agli individui “anti-sociali”.
Quello dei “laojiao” in realtà è un sistema di approvvigionamento di forza-lavoro gratuita e privata di qualunque diritto, sfruttata per sfornare prodotti destinati al mercato occidentale. Negli Usa sembra che siano stati trovati bigliettini dei prigionieri-operai nelle confezioni degli addobbi natalizi. Il governo cinese ha giustificato la chiusura dei campi di lavoro affermando i notevoli passi avanti fatti dal sistema penale, ma in molti si chiedono se davvero i “laojiao” chiuderanno o semplicemente cambieranno nome rimanendo quello che sono stati (il primo è stato aperto nel 1957) e che sono ancora oggi.