Le cifre della guerra in Sud Sudan. Combattimenti sono in corso a Malakal, nello Stato dell’Upper Nile, e a Bor, nello Stato di Jonglei, mentre a Bentiu, nelo Stato di Unity, la situazione sarebbe apparentemente più calma ma la cassaforte del petrolio Sud Sudanese sarebbe caduta nelle mani delle forze ribelli di Riek Machar. Impossibile parlare al telefono con queste località che sono praticamente isolate. Secondo l’Onu oltre 1000 persone sono state uccise dall’inizio degli scontri, il 15 dicembre. Tra profughi e sfollati le Nazioni Unite calcolano almeno cento mila persone. Ma sia il numero dei morti che dei profughi, secondo le stesse fonti, sarebbe sotto stimato.
In questa situazione i mediatori africani hanno fatto sapere che si sarebbe aperta una possibilità di dialogo sotto l’egida dell’Igad. Si tratterebbe di colloqui da tenersi in Kenya, a Nairobi. Il presidente Salva Kir si sarebbe detto favorevole a partecipare, ha addirittura detto di volere una tregua immediata ma continua a ignorare la precondizione posta dal suo rivale Riek Machar, cioè quella della liberazione di una decina di alte personalità del governo a lui favorevoli che sarebbero state arrestate il giorno in cui il presidente ha denunciato un fallito golpe contro il governo.
Finora i delegati africani (il presidente del Kenya, Kenyatta, e il premier etiopico, Dessalegn) hanno incontrato solo Salva Kiir. Non si è avuta notizia di un incontro con Riek Machar o con qualche suo delegato di fiducia. Di conseguenza non è ancora noto se e con quale rappresentanza l’ex vicepresidente Riek Machar parteciperà a queste trattative. In questo clima i mediatori africani hanno ripetutamente chiesto un cessate il fuoco ma il loro appello è rimasto inascoltato. La guerra continua a divampare e l’impressione è che non sia ancora arrivato il momento delle trattative. Sia Il presidente Salva Kiir che il suo rivale Riek Machar non sembrano al momento voler ricorrere alla trattativa, i margini per un compromesso praticamente non ci sono. Sia l’uno che l’altro vogliono arrivare ad un eventuale negoziato da una posizione di forza, cioè con il controllo della maggior parte di territorio possibile. In attesa di quel momento a parlare saranno le armi.