Elezioni, scissioni, bocciature e quarantenni: la politica italiana del 2013 in dieci mosse
Gabriele Maestri
Elezioni, scissioni, bocciature e quarantenni: la politica italiana del 2013 in dieci mosse
Come se fosse semplice, condensare in dieci fotogrammi un anno. Eppure lo si fa, per amore di sintesi e di “bilanci”. E così si (ri)scopre che la politica italiana del 2013 è iniziata nel segno di elezioni dai risultati sconvolgenti, è stata ricca di “prime volte” (a partire dalla conferma di Napolitano al Quirinale), di volti giovani – ma non nuovi – alla ribalta e di bocciature eccellenti, su tutte l’espulsione di Berlusconi dal Parlamento dopo la sua condanna definitiva. Ecco allora i dieci passaggi che tratteggiano l’anno politico che si chiude e che dicono qualcosa su quello che si apre. Ma non, per dire, quanto durerà il governo e con quale legge si voterà.
Il terremoto nelle urne – La XVI legislatura finisce in leggero anticipo, con le dimissioni di Mario Monti a dicembre. Nessuno però immagina (forse) che dal voto del 24 e 25 febbraio arrivi un vero terremoto, con il centrosinistra di Pierluigi Bersani dato per vincente per mesi e rimontato al fotofinish dal centrodestra ancora una volta guidato da Silvio Berlusconi. Alla fine alla Camera vince il centrosinistra di Italia Bene Comune (portando a casa il premio di maggioranza per poco più di 100mila voti), ma la forza più votata è il MoVimento 5 Stelle; al Senato il centrosinistra ha la maggioranza relativa, ma ha solo 6 seggi in più del centrodestra. Morale, il centrosinistra arriva primo, ma non vince.
Napolitano rieletto al Quirinale – Nessuna coalizione ha i numeri per governare: eletti due outsider di sinistra alla guida delle Camere (Laura Boldrini di Sel alla Camera e Pietro Grasso del Pd al Senato), la partita dell’esecutivo si allunga a dismisura, mentre Giorgio Napolitano prende tempo e nomina dieci “saggi” per tracciare una via al futuro governo. Intanto si deve eleggere il nuovo Capo dello Stato: il M5S, consultati online gli aderenti, propone il giurista Stefano Rodotà, mentre il Pd indica (in accordo con il centrodestra) Franco Marini, indigesto a parte del partito e a gran parte della base. Marini viene impallinato il 18 aprile alla prima votazione da decine di franchi tiratori, che diventano 101 quando il Pd e Sel propongono Romano Prodi, affossato al quarto voto. Lo scenario finale è inedito: il 20 aprile Napolitano succede a se stesso, su pressante richiesta di Pd, Pdl, Scelta civica e parte della Lega Nord.
Bersani fallisce, Letta no – Nella situazione di confusione generale, è pur sempre il centrosinistra a essere arrivato primo. Napolitano (negli ultimi giorni del suo primo mandato) incarica dunque PierluigiBersani, come capo della coalizione Italia Bene Comune,di verificare la possibilità di avere una maggioranza alle Camere. Bersani consulta le forze sociali e tutti i partiti (anche fuori dal parlamento), gli italiani assistono per la prima volta a uno degli incontri in diretta (grazie allo streaming del M5S), ma il 28 marzo getta la spugna. Una volta confermato al Quirinale e dopo nuove consultazioni, Napolitano il 24 aprile dà l’incarico a Enrico Letta, che alla fine ottiene la fiducia delle Camere con il suo governo di “larghe intese” (Pd, Pdl, Sc)
Berlusconi condannato e “decaduto” – La politica vivacchia per settimane, senza novità sconvolgenti. Il 1° agosto però scoppia una bomba: Silvio Berlusconi viene condannato dalla Corte di Cassazione a quattro anni di reclusione nel processo Mediaset. E’ la prima condanna definitiva a suo carico e arriva (è la prima volta che accade) mentre lui è senatore. Da più parti si invoca l’applicazione della “legge Severino” che prevede l’incandidabilità e la decadenza dalla carica elettiva (che si avrebbe anche con l’interdizione dai pubblici uffici). Il Pdl minaccia sfracelli qualora non sia garantita “l’agibilità politica” del suo leader. Si polemizza per giorni sul voto segreto o palese, con timori e accuse reciproche di tradimento o collaborazionismo. Alla fine si vota a scrutinio palese e il 27 novembre il Senato boccia le alternative alla decadenza: Berlusconi esce dal Parlamento dopo esservi entrato nel 1994.
M5S sul tetto della Camera –A movimentare le cronache politiche provvede soprattutto il MoVimento 5 Stelle, sia per i continui interventi al vetriolo del suo leader, Beppe Grillo, sia per l’atteggiamento combattivo degli eletti in Parlamento, che rivendicano un modo diverso di fare politica (a partire dalla sobrietà economica, che li porta a rinunciare a gran parte del loro stipendio) e non lesinano attacchi verbali, non di rado violenti, agli esponenti dei partiti tradizionali (accusando di essere a loro volta attaccati). Il loro gesto più eclatante è senz’altro la protesta che ha portato un gruppo di deputati a occupare il 6 settembre il tetto di Montecitorio, passando lì la notte: un grido contro la riforma dell’art. 138 della Carta, che avrebbe permesso di “cambiare la Costituzione senza rispettare le regole”.
Il Cav torna a Forza Italia, Alfano se ne va –Prima della sua decadenza da senatore, Berlusconi ufficializza il passo che aveva in animo da tempo: lasciare da parte la sigla del Pdl (mai troppo amata da lui e da altri big del partito) e tornare al contenitore delle origini, Forza Italia. Il 16 novembre l’ultimo consiglio nazionale del Pdl sancisce la decisione, ma all’appello mancano nomi pesanti, a partire dal suo “delfino” Angelino Alfano: lui, assieme a tutti i ministri ex Pdl, ha scelto di non rompere con il governo Letta e di fondare un nuovo soggetto politico, il Nuovo centrodestra, che nasce ufficialmente a dicembre. Per qualcuno Alfano e gli altri (compresi ex big forzisti come Fabrizio Cicchitto e e Renato Schifani) sono “traditori”, per altri sono “diversamente berlusconiani” e saranno comunque alleati alle elezioni.
Scelta Civica perde i pezzi – Negli stessi giorni in cui Berlusconi torna a Forza Italia, si ufficializza e si consuma una spaccatura all’interno di Scelta civica, il soggetto politico che dall’inizio del 2013 fa riferimento all’ex presidente del consiglio tecnico Mario Monti. E’ proprio lui a dimettersi già a metà ottobre, dopo avere dato parere negativo al ddl di stabilità ed essersi sentito sfiduciato dal gruppo dei “popolari”, guidato da Alberto Olivero, Lorenzo Dellai e soprattutto dal ministro ex forzista Mario Mauro. Alla fine i Popolari lasciano il partito, affidato ad Alberto Bombassei: loro preferiscono guardare all’Udc di Pierferdinando Casini e a esperimenti che creino il Ppe in Italia, mantenendo stretta fedeltà al governo di Letta.
Pd, alle primarie sbancaRenzi –L’8 dicembre il Pd sceglie di “cambiare verso”: alle primarie per la scelta del successore di Pierluigi Bersani alla segreteria gli elettori indicano in massa il nome di Matteo Renzi: con il 68% dei consensi (e sostenuto da big democratici come Dario Franceschini e Walter Veltroni) batte nettamente i suoi sfidanti, Gianni Cuperlo (che aveva incassato l’appoggio di Bersani e Massimo D’Alema) e Pippo Civati, mentre la prima fase congressuale aveva già spento le aspirazioni di Gianni Pittella. La vittoria di Renzi è un pungolo per il governo Letta, invitato a restare in carica “purché faccia le cose che servono”. Altrimenti? “Sennò finish“.
Lega, Salvini batte Bossi – Il giorno prima delle primarie del Pd, viene ufficializzato il nuovo segretario della Lega Nord. Il testimone di Roberto Maroni viene raccolto da Matteo Salvini, segretario della Lega Lombarda (e vicino allo stesso Maroni, a febbraio approdato alla guida della regione Lombardia), che ottiene l’82% dei voti. Quattro volte di più di Umberto Bossi, che si era presentato come avversario dopo avere guidato il partito dalla sua nascita fino al 2012, anno in cui si era dimesso dalla carica dopo lo scandalo che aveva coinvolto l’ex tesoriere Francesco Belsito e vari esponenti del partito.
La Consulta boccia il Porcellum – L’ultimo colpo di teatro (o di coda) il 2013 politico lo riserva il 4 dicembre: la Corte costituzionale quel giorno dichiara l’incostituzionalità di due capisaldi della legge elettorale in vigore per Camera e Senato, il cd. Porcellum. Si tratta del premio di maggioranza senza la previsione di una soglia e del sistema delle “liste bloccate”. La sentenza integrale non è ancora stata scritta, ma di fatto il sistema lasciato in piedi dalla Corte somiglia al proporzionale con preferenza unica con cui si è votato nel 1992. Per il M5S è un’occasione d’oro per etichettare come “abusivi” molti parlamentari della maggioranza, per molti (costituzionalisti compresi) è la prova dell’illegittimità più volte lamentata della disciplina elettorale; per tutti, è un caos che delegittima politicamente il Parlamento, cui si può riparare solo con una nuova legge con cui andare a votare la prossima volta. Quale legge? Ancora non è dato sapere.