Lo spread torna sotto i 200 punti. Letta: “Ora possiamo ripartire”
Lo spread torna sotto i 200 punti
Gli italiani avevano (tristemente) preso dimestichezza con quella parola nel 2011: non passava giorno che ogni telegiornale aprisse con discorsi preoccupati e allarma(n)ti sullo spread che aveva toccato livelli stellari, quando prima di allora quel termine era pressoché sconosciuto alle cronache, salvo quelle di stretta osservanza economica. In ogni caso, da allora il differenziale di rendimento tra i buoni dei tesoro – e in particolare quello tra i nostri Buoni del tesoro poliennali e gli equivalenti dell’ordinamento tedesco è stato per mesi il pane quotidiano.
Solo oggi, dopo un’attesa lunghissima, arriva una vera buona notizia su quel versante: per la prima volta dal luglio 2011, infatti, lo spread Btp/Bund riesce a toccare 199 punti, dunque scende sotto la quota psicologica dei 200, ciò mentre il rendimento dei nostri buoni arriva al 3,95% (scendendo sotto il 4%). Secondo i consueti analisti bene informati, questo sarebbe il segno che dall’estero si guarda con occhi diversi all’Italia, con meno dubbi e più fiducia. Contribuirebbero a questo gli ultimi dati macroeconomici che danno per probabile una ripresa nei prossimi mesi e gli investitori ci credono, ricominciando a puntare sul nostro paese e sulla Spagna.
Ognuno legge i dati a modo suo: certamente soddisfatto è Fabrizio Saccomanni, ministro dell’economia. “Il dato dello spread indica che i mercati apprezzano l’operato del governo, il suo impegno per il mantenimento della stabilità dei conti e per l’avvio delle riforme, sia istituzionali che economiche”; il calo dei rendimenti sotto al 4% significa minori spese sul debito per lo Stato, più fondi a disposizione per gli investimenti e per ridurre il peso del fisco, oltre che un (potenziale) accesso più facile al credito.
Soddisfazione anche dal ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi: “La stabilità paga. La discesa dello spread sotto i 200 punti dopo i picchi negativi di oltre 550 non risolve magicamente i problemi ma documenta un significativo risparmio per gli interessi che lo Stato paga sul debito e quindi un risparmio per tutti: le famiglie, i cittadini e le imprese”. Per il ministro quello dello spread è un altro dato positivo per l’economia e la finanza del paese, ma da solo non basta: “La scommessa del governo è ‘fare’ e legare a questo inizio di ripresa una crescita anche dell’occupazione. A questo serve un chiaro patto di governo su cinque priorità per il 2014 che ridia speranza alle imprese che hanno avuto il coraggio di continuare a investire e a creare lavoro e alle famiglie che sono state il vero ammortizzatore sociale che ha tenuto in questi anni di crisi”.
LETTA “ORA POSSIAMO RIPARTIRE” – In serata interviene anche il presidente del Consiglio Enrico Letta, intervistato al Tg1. “Oggi c’è la condizione perché il Paese riparta e questa condizione va assolutamente colta”. Il calo del differenziale tra i titoli italiani e tedeschi “è il segno che l’Italia è nella giusta direzione. E’ il frutto di un lungo lavoro che va perseguito”. Le risorse non “bruciate” dallo spread potrebbero servire “per abbassare le tasse sul lavoro, per aiutare l’occupazione, combattere la disoccupazione giovanile e rendere le imprese italiane più competitive. Fino a ieri, con lo spread così alto, queste non erano infatti in grado di acquisire credito e di fare gli investimenti così come lo facevano le imprese tedesche, austriache o francesi”.
Non si nasconde però Letta sulla questione Renzi e sulle proposte fatte da lui in tema di legge elettorale, immigrazione e unioni civili: “Penso che l’iniziativa di Matteo Renzi sia una buona iniziativa, importante – spiega -. Il Paese non può permettersi di stare un altro anno senza riforme e senza legge elettorale. E così anche sugli altri temi. Io sono convinto che le soluzioni si troveranno per mettere d’accordo la maggioranza. Bisogna arrivare rapidamente al dunque”. E questo nonostante lo stop di Alfano sulle unioni, anche perché la nuova segreteria ha già immaginato di mettersi in cerca di “maggioranze diverse in Parlamento”.