A che serve l’impeachment del Presidente?
Se l’Italia ancora non è affondata, il merito è tutto del Presidente Napolitano. Eppure, negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli attacchi, insensati, nei suoi confronti: i più profondi conoscitori della Costituzione lo accusano di aver ampiamente oltrepassato i limiti delle proprie funzioni, lo descrivono come un monarca, minacciano impeachment. Il Presidente non ha mai reagito direttamente, si è sporadicamente limitato a richiamare questi finti censori alla ragionevolezza, ben consapevole che tutto ciò solo serve a distogliere l’attenzione dell’elettorato dalle responsabilità di chi urla tanto avendo perso il senso del pudore.
Ad aprile Napolitano doveva lasciare il Quirinale; il Parlamento, tuttavia, non ha saputo trovare un successore. Grillo, per mantenere fede alla sua inutile “diversità”, s’è ostinato a far votare ai suoi portavoce Rodotà, il candidato ideale che, poi, però, alla prima critica rivolta al M5S, è stato rispettosamente liquidato come un “un ottuagenario sbrinato di fresco dal mausoleo dove era stato confinato dai suoi”. Bersani non ha saputo imporre una figura condivisa ed è riuscito, anche, a bruciare Prodi, il naturale candidato del centrosinistra al Quirinale. Monti, Casini e Berlusconi erano i più convinti sponsor della rielezione di Napolitano consapevoli che ciò avrebbe naturalmente allungato le Larghe Intese. Il Presidente, suo malgrado, ha così accettato, imponendo però due precisi paletti: l’immediata formazione di un governo sostenuto da una larga maggioranza politica (già il 24 aprile Letta riceve l’incarico) e la riforma della legge elettorale.
La destra pensava che il Presidente rieletto non avrebbe mai scaricato Berlusconi, da cui ancora dipendevano le sorti della maggioranza di governo. Grillo, dal canto suo, ha iniziato ad accusare Napolitano di essere il garante dell’impunità del Cavaliere e, dall’agosto scorso, prevedendo l’imminente concessione della grazia al Cavaliere, chiede l’impeachment contro il Presidente. La grazia non c’è stata, Berlusconi è decaduto, Forza Italia è passata all’opposizione e s’è allineata all’incessante insulto contro Napolitano, ventilando un possibile supporto all’impeachment cui starebbero (ancora) lavorando i grillini.
Questa convergenza, di per sé, fa riflettere. Ciò che vuole Berlusconi è abbastanza chiaro: salvare se stesso e i propri affari, in piena continuità con la sua ventennale azione politica. Grillo, invece, cosa vuole?
Stando all’Art. 90 della Costituzione, il Presidente della Repubblica può essere messo in stato d’accusa solo “per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”: se oggi c’è qualcuno che attenta all’ordine istituzionale, esso non sta al Quirinale. Per “liberarsi in fretta” di Napolitano basterebbe, piuttosto, dare seguito alle sue parole. Il Presidente è impegnato perché sia “avviato un nuovo percorso di crescita, di lavoro e di giustizia per l’Italia e almeno iniziata un’incisiva riforma delle istituzioni repubblicane”. Per chi ha costruito tutto il proprio consenso contro gli interminabili riti politica romana, non dovrebbe essere troppo difficile trovare accordi immediati su questioni tanto semplici quanto fondamentali. Altrimenti diventa legittimo sospettare che anche questi homines novi non siano molto diversi dal Bossi che faceva sventolare i cappi e dal Fini che faceva lanciare le monetine contro i corrotti della prima repubblica.
Andrea Enrici