Philomena, il dramma taciuto delle madri irlandesi
Philomena è un film per la regia di Stephen Frears che annovera nel cast attori come Judi Dench, Steve Coogan, Sophie Kennedy Clark, Anna Maxwell Martin e Ruth McCabe.
Irlanda, 1952. Philomena Lee (Judi Dench), ancora adolescente, rimane incinta. La famiglia la manda presso il convento di Roscrea dove, per ripagare le religiose delle cure prestate prima e durante il parto, lavora nella lavanderia del convento e può vedere il figlio Anthony solo sporadicamente. A tre anni il piccolo viene dato in adozione a una coppia di americani. Per anni la donna s’interroga sulla sorte toccata al bambino e cinquant’anni dopo, grazie all’incontro con Martin Sixmith (Steve Coogan), un disincantato giornalista, ha finalmente la possibilità di sciogliere i suoi dubbi. E le risposte a cui Philomena approda, nonostante alcuni tentativi di “depistaggio” tanto cortesi quanto implacabili, si rivelano inattese e spiazzanti. Qualcuno d’insospettabile si è infatti macchiato di una colpa triplice.
Steve Coogan, produttore, co-autore e attore protagonista del film che gli è valso il Premio Osella per la miglior sceneggiatura a Venezia 70 e il Leone d’oro dei critici italiani, anni fa venne colpito da un titolo sul sito del britannico The Guardian: “La chiesa cattolica ha venduto mio figlio”. Si trattava di un’intervista a Martin Sixsmith in merito al suo libro The Lost Child of Philomena Lee (2009), per il quale Coogan opzionò subito i diritti.
Frears ha dichiarato: “incontrando la vera Philomena Lee ero sorpreso dal fatto che volesse venire sul set, cosa che ha fatto il giorno in cui veniva girata la scena terribile della lavanderia. Philomena è una donna magnifica, priva di autocommiserazione, che continua ad avere fede nonostante le ingiustizie subite”. Il film riprende il tema affrontato in Magdalene di Peter Mullan del 2002, ma se nel precedente il tono della narrazione era veemente, nell’opera di Frears lo humor inglese, che si accompagna a uno stile asciutto e puntuale, fa da contrappeso al dolore e “scabrosità” della vicenda.
Philomena e Martin non potrebbero essere più diversi: mentre l’uomo è ateo e piuttosto diffidente anche nei confronti degli esseri umani, la donna non è colta (legge romanzi di cui ricorda ogni dettaglio) e avrebbe tutti i motivi per guardare con disprezzo alla religione, ma non è così. Philomena infatti è riuscita, a dispetto della profonda sofferenza attraversata, a non confondere Dio con coloro che hanno talvolta la pretesa di rappresentarlo. Il giornalista la punzecchia sistematicamente con il suo scetticismo, eppure la storia ci dimostra che incontrarsi è possibile, se si riesce ad abbattere i muri di pregiudizio che spesso ostacolano la vera comunicazione.
A dispetto delle apparenze Philomena è meno sprovveduta di tante persone cosiddette di mondo, in quanto dispone di una forza d’animo incredibile. Il dolore e le ingiustizie non l’hanno fatto indulgere nell’autocommiserazione o nella rabbia, ma al contrario sono state il pungolo per tirar fuori la dignità e concepire un gesto carico di grazia e compassione quale può essere il perdono.
Ancora una volta i personaggi di Frears sono caratterizzati da una grande umanità, e al regista riesce la difficile impresa di raccontare una tragedia con leggerezza. Su tutto spicca la positività della protagonista, che innesca numerosi momenti comici con il giornalista. Nei panni di Philomena Judi Dench riesce quindi a farci dimenticare per un attimo l’algida Agente M della saga di 007 creando una figura sin da subito accogliente e familiare per lo spettatore.
Gli attori conferiscono ai personaggi complessità e profondità, i dialoghi sono brillanti, e la chimica tra i due protagonisti è molto forte. Si tratta insomma di un film da vedere, se si vuole riflettere su temi delicati, senza smarrire il sorriso.