Lunedì 16 Novembre, Polonia e Ungheria hanno posto il veto all’approvazione del bilancio pluriennale dell’Unione. La protesta è arrivata in seno al COREPER II, organo del Consiglio dell’Unione Europea formato dagli ambasciatori degli Stati membri presso l’UE. Il veto rappresenta la risposta di Budapest e Varsavia all’introduzione nel bilancio della clausola di condizionalità sul rispetto dello Stato di Diritto per accedere ai fondi europei. L’opposizione dei 2 Stati dell’Europa dell’Est ha di fatto annullato l’accordo raggiunto fra Parlamento e Consiglio il 10 Novembre scorso.
Oltre a bloccare il prossimo Quadro Finanziario Pluriennale (QFF) 2021-2027, il niet frena anche l’attuazione del piano di recupero Next Generation EU, nel quale è compreso il Recovery Fund. Infatti, quest’ultimo è legato al QFF tramite le risorse proprie dell’Unione, ossia le entrate che consentono all’UE di coprire le spese effettuate nell’arco dei 7 anni.
Inoltre, per far fronte alle ingenti spese di bilancio dovute alla crisi, la Commissione Europea ha proposto l’introduzione nel corso del settennato di nuove risorse proprie che si aggiungeranno alle attuali 3 fonti di entrata (dazi doganali, prelievo sull’IVA e trasferimento in base al reddito nazionale lordo). Le nuove risorse proposte si baseranno sul sistema di scambio di quote di emissioni dell’Unione; sul meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera e prelievo sul digitale; e sulle transazioni finanziarie. Saranno precisamente queste a ripagare il debito che l’Unione andrà a contrarre sui mercati per mettere in atto il Recovery Fund.
In che modo 2 Stati membri su 27 hanno potuto bloccare un bilancio complessivo pari a 1.824,3 miliardi di euro?
La risposta a questo quesito la troviamo nei Trattati che regolano il funzionamento dell’Unione Europea, in particolare gli articoli 311e 312 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) concernenti, tra l’altro, i meccanismi di votazione nel Consiglio dell’Unione Europea.
L’art.311 del TFUE enuncia i meccanismi di voto per l’adozione di nuove risorse proprie. In questo caso, il Consiglio deve votare all’unanimità per approvarle. Quindi, il solo voto contrario di uno Stato membro può far sì che la proposta venga rigettata.
L’art.312 del TFUE enuncia, invece, i meccanismi di voto per l’adozione del quadro finanziario pluriennale. Anche qui il Consiglio deve deliberare all’unanimità per approvare il bilancio dei successivi 7 anni.
Come abbiamo potuto vedere nei 2 articoli, ogni Stato membro mantiene il diritto di veto sulle finanze dell’Unione. Dunque, tutte le entrate e tutte le spese comuni dell’Unione devono passare per il voto favorevole di tutti i 27 Paesi, dimostrando ancora come gli Stati nazionali abbiano un peso maggiore in settori chiave rispetto alla Commissione Europea .
In conclusione, la decisione di porre un veto sul bilancio è stata meramente politica, con lo scopo di far eliminare la clausola di condizionalità, che era stata votata a maggioranza qualificata proprio dal Consiglio. Una clausola invisa a Orban e Morawiecki in quanto entrambi sotto la lente di ingrandimento di Commissione e Corte di Giustizia Europea per gravi violazioni dello Stato di Diritto nei loro Paesi.
Inoltre, il bilancio pluriennale deve essere approvato prima dell’inizio dell’anno di riferimento (2021) per non entrare in esercizio provvisorio con limiti di spesa, che ritarderebbero l’implementazione del Recovery Fund. Quindi i 2 Stati stanno forzando la mano chiedendo l’eliminazione della clausola, contando sul fatto che il tempo a disposizione per adottare il QFF entro fine anno è scaduto. Nonostante ciò, questo scenario non gioverebbe nemmeno a Polonia e Ungheria in quanto beneficiari netti dei fondi europei.
La spaccatura in Europa rischia di allargarsi dopo la decisione della Slovenia di appoggiare il veto sul bilancio, anche se Romania, Repubblica Ceca e Slovacchia hanno fortemente criticato l’opposizione polacco-ungherese. Nelle prossime settimane un accordo verrà con ogni probabilità trovato e vedremo se la forzatura dei 2 Stati avrà sortito il suo effetto sperato o se l’Unione avrà resistito. In ogni caso ad uscire sconfitti da questo braccio di ferro sono tutti i cittadini europei che non avranno a disposizione nell’immediato i fondi europei per far fronte alla crisi.