I Giovani Democratici a congresso
Forse in pochi lo sanno. Ma nel composito e frammentato universo delle organizzazioni giovanili di partito, un tempo vere e proprie fucine di quadri e di “futuri leader”, spiccano i Giovani Democratici, movimento giovanile del Partito Democratico.
[ad]Non spicca però dal punto di vista comunicativo, bensì dal punto di vista degli iscritti. Si tratta infatti pur sempre dell’organizzazione politica giovanile che vanta più tesserati d’Italia. E ciò tra l’altro dovrebbe interrogare la politica sulle diverse modalità che utilizzano questi movimenti per farsi notare. Insomma: la Giovane Italia, i giovani del PdL, grazie alle loro feste di partito raggiungono un’esposizione mediatica maggiore dei loro omologhi del Pd, che conterebbero nonostante tutto più iscritti.
In questa fase politica, in cui tra l’altro il Partito Democratico appare come il partito di maggioranza relativa del paese, è interessante notare il dibattito interno ai Giovani Democratici alla vigilia del loro congresso nazionale che si dovrebbe tenere a marzo.
In un periodo in cui la politica appare commissariata dai tecnici quali spazi possono trovare i giovani del Pd? E, di conseguenza, quali sono le loro proposte per tornare ad un “primato della politica”?
Stando ai documenti presenti su internet vi dovrebbero essere due documenti congressuali che rappresentano due diverse idee del ruolo di un movimento peculiare come può essere quello dell’organizzazione giovanile. C’è infatti la tesi presentata da Fausto Raciti, segretario uscente che si ricandida per una riconferma, e quella del responsabile delle relazioni internazionali Brando Benifei che si candida con la sua mozione contro l’attuale leader della giovanile.
Per certi versi, analizzando nel dettaglio i due documenti, si arriva ad una conclusione interessante: per forza di cose i giovani democratici, seppur “divisi” in due distinti schieramenti che si contenderanno la leadership, hanno una visione politica analoga che si riscontra perlopiù nell’analizzare la crisi economica in atto. Quella che vede coinvolta l’Italia fino al collo.
Il documento congressuale di Raciti e quello di Benifei criticano fortemente l’ondata neo-liberista che avrebbe causato la crisi economica in atto. Ma comunque emergono dei differenti distinguo che, non è scontato, potrebbero anche ripercuotersi a livello nazionale nel Partito Democratico. Creando un meccanismo inverso in cui non è tanto il Partito che influisce sulla sua struttura dei giovani, ma il contrario.
E dunque il documento Raciti parte dal G8 di Genova. Ricorda l’allora tormentone legato alla separazione del mondo in “global, no-global e new global” ed evidenzia come l’ondata neo-liberista con la sua forza e la sua accentuazione abbia spazzato via qualsiasi ipotesi alternativa all’attuale modello di sviluppo. Il documento di Benifei si sente di condividere questa impostazione ma evidenzia un aspetto molto interessante legato al mondo del lavoro quando, una volta sancita la “sacralità” del sindacato per il mondo della sinistra, invita ad un ripensamento radicale della stessa struttura del sindacato. Perché al di la delle battaglie definite “nominalistiche” vi è un problema di accesso al mondo del lavoro da parte delle giovani generazioni e il sindacato appare sempre più incapace di farsi valere ma addirittura di esistere nella piccola e media impresa. Che come è noto rappresenta l’ossatura del sistema economico italiano assieme al concetto ripreso dal documento di “distretto industriale”.
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