ESCLUSIVO Legge elettorale, l’esperto Agosta “Non diamo al Porcellum colpe che non ha”
ESCLUSIVO Legge elettorale, l’esperto Agosta: “Non diamo al Porcellum colpe che non ha”
Manca poco alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale: secondo alcuni già domani (ma è più probabile che si debba aspettare un po’ di più) si capirà quali ragioni l’hanno portata a dichiarare l’incostituzionalità di due punti chiave del Porcellum, il premio di maggioranza (senza soglia) e la lista bloccata. Nel mondo politico c’è attesa per il testo integrale della sentenza: solo da quel momento si potrà capire quali delle proposte di riforma del sistema elettorale (le tre formulate da Renzi e il ritorno al Mattarellum puro, voluto dal M5S) saranno effettivamente percorribili.
Molti studiosi, però, sono poco convinti di una decisione che pure era invocata da più parti. Tra i perplessi, anche Antonio Agosta, docente di Scienza politica all’università di Roma Tre: consulente del Viminale, Agosta è tra i maggiori esperti di sistemi elettorali e ha contribuito tra l’altro alla stesura del Mattarellum (in particolare al disegno dei collegi). Particolare inedito: se in politica la primogenitura del termine Porcellum per indicare la “legge Calderoli” pare rivendicata da Francesco Rutelli, in accademia a coniare l’etichetta non sarebbe stato Giovanni Sartori – come indicato dai più – ma proprio Antonio Agosta. Il nostro dialogo, inevitabilmente, parte da qui.
Professor Agosta, dica la verità: il nome “Porcellum” l’ha inventato lei?
Magari ci sono più inventori contemporanei, ma per me nacque il venerdì dopo le elezioni del 2006 in un dialogo con Sebastiano Messina, della Repubblica, poi trasfuso in un articolo pubblicato il 15 aprile. Lui mi chiese cosa sarebbe accaduto se gli stessi voti, che col nuovo sistema elettorale avevano dato un’esigua maggioranza alla coalizione di Romano Prodi, fossero stati riferiti ai collegi del vecchio sistema, introdotto nel 1993. Per quello usai il termine di Sartori, dunque Mattarellum; Roberto Calderoli aveva già definito la “sua” legge «una porcata», così coniai il termine Porcellum.
Dunque la genesi “accademica” del termine è questa…
Il mio nomignolo non era polemico, ma faceva il verso al modo sartoriano di personalizzare “alla latina” il sistema col nome del promotore. Quando si discusse della riforma elettorale regionale del 1995, a molti commentatori non parve vero che il relatore della legge fosse Giuseppe Tatarella, per cui si parlò di Tatarellum; da lì un po’ tutti si sono esercitati col latinetto. Lo stesso Sartori chiamò il sistema di Calderoli Proporzionellum, altri usarono Calderolum: io scelsi appunto Porcellum.
Un’etichetta fortunata, non c’è che dire.
Al di là dell’uso giornalistico-politico, usai la stessa parola in un saggio, che firmai con Nicola D’Amelio e inserii in un’opera curata da Roberto Gritti e Mario Morcellini, Un voto senza precedenti. Il saggio si concentrava sullo strumento delle simulazioni, che possono dare solo un risultato tendenziale. Non si può dire che con il Mattarellum le cose sarebbero andate per forza come abbiamo calcolato noi: cambiando le regole, infatti, cambia tutto, anche il modo di votare.
Che risultati aveva dato quella simulazione?
Se quella volta Prodi vinse alla Camera per circa 25mila voti, lo 0,06%, con i collegi uninominali e a voti invariati avrebbe vinto Berlusconi: avrebbe ottenuto più collegi rispetto al centrosinistra, perché era diffuso in modo più omogeneo nel paese rispetto al centrosinistra. Del resto, feci questa simulazione per confermare una mia intuizione: con il Porcellum il centrodestra stava in qualche modo offrendo al centrosinistra – inconsapevolmente – la possibilità di concorrere alla pari.
La coalizione di Prodi se n’era resa conto?
No: il centrosinistra era convinto di essere danneggiato col nuovo sistema, perché nel maggioritario prendeva più voti, mentre il centrodestra si lamentava di non riuscire a trattenere sui candidati comuni del maggioritario i voti che i singoli partiti riuscivano a ottenere nella quota proporzionale. C’è stata una confusione sulle convenienze, con tanto di accuse reciproche che non erano fondate.
Che sistema era uscito dunque?
Il sistema rendeva l’intero territorio nazionale – tranne la Valle d’Aosta – un unico collegio maggioritario: vincere alla Camera anche per un voto di differenza (e quella volta furono 24.755) voleva dire creare una differenza di 10 punti percentuali sui seggi a Montecitorio tra la coalizione vincitrice (il 55%) e gli schieramenti perdenti (il 45% in tutto). Il risultato di sostanziale parità del 2006 si risolse – come in tutti i sistemi maggioritari – in favore di uno dei due schieramenti, quello dell’Unione. Col Mattarellum, come dicevo, probabilmente avrebbe vinto il centrodestra; di più, il centrosinistra per vincere col Mattarellum avrebbe dovuto staccare Berlusconi di almeno quattro punti sui voti totali, per la distribuzione non omogenea di cui dicevo prima.
In che modo quella distribuzione influiva sul risultato?
Col Mattarellum, nei collegi in cui era forte il centrosinistra stravinceva e quei voti di fatto andavano sprecati per il computo dei seggi; col Porcellum, invece, come per ogni buon “porcellum”, non si butta niente, ogni voto conta, viene utilizzato nel collegio unico nazionale alla Camera (o nel collegio nazionale al Senato) per determinare il premio di maggioranza.
Eppure dei difetti del Porcellum si è parlato a ripetizione…
La dicitura Porcellum è stata così fortunata che tutti hanno pensato che non ci fosse bisogno di analizzarne i difetti, perché con quel nome doveva per forza essere la porcheria peggiore. Lo stesso Prodi accusò il sistema di avere distrutto il bipolarismo. In realtà lo ha esaltato: il massimo tasso di concentrazione bipolare si è avuto proprio nel 2006, quando nel collegio nazionale della Camera il 99,55% dei voti si concentrò nei due schieramenti guidati da Prodi e Berlusconi.
Il ritratto che esce, però, è quello di un sistema maggioritario, non proporzionale corretto…
Lo stesso Sartori, chiamando il sistema Proporzionellum, commise un errore: non si abbandonava il bipolarismo per tornare al proporzionale. È vero, si votava di nuovo la lista, ma non vuol dire affatto che si sia adottato un sistema proporzionale. In realtà è un sistema maggioritario di coalizione, con rappresentanza proporzionale delle minoranze. Il problema è che questa “etichetta” del proporzionale ce la siamo tirata dietro fino a oggi, sviando anche la Corte costituzionale…
Per lei la Consulta ha commesso un errore, dichiarando incostituzionale parte del Porcellum?
Dopo la decisione della Corte, dichiarai che probabilmente la vox populi era stata tradotta in una vox iuris. Non mi permetto di non accettare la sentenza della Corte e, come tutti, dovrò leggere il testo della sentenza, ma non trovo appigli costituzionali per dire che il premio di maggioranza era del tutto illegittimo o che dovesse essere sottoposto a una soglia. La soglia non è un argomento costituzionalmente necessario: può essere ragionevole, anche consigliabile. Se nel 2006 il 99,55% scelse una coalizione o l’altra, poi questa fiducia negli schieramenti è venuta meno, per l’incapacità effettiva delle coalizioni di governare e per le scissioni minacciate o praticate all’interno dei partiti. Quel bipolarismo non ha retto alla prova di governo, il Mattarellum nascondeva la frammentazione, il Porcellum l’ha resa evidente, ma non è colpa dei sistemi elettorali. La regola elettorale non rende obbligatorio un cambiamento dei partiti, ci sono state troppe aspettative; eppure anche le riforme di cui si parla in questi giorni vagheggiano l’esistenza di due grandi partiti o qualcosa di simile.
Quindi gli scontenti avrebbero dovuto prendersela coi partiti e non con la legge elettorale…
L’impressione è che sul Porcellum si sia concentrata la delusione e la rabbia per la mancata maturazione del quadro politico. Sì, la legge Calderoli produce una difficile situazione di governabilità per il Senato, ma non è vero che spacca il Parlamento in tre, quattro, cinque parti diverse. Pare poi che la stessa Corte, per costringere il Parlamento a cambiare strada, abbia dato voce allo scontento del popolo, agganciandosi a due elementi che nell’opinione comune erano diventati i generatori del male: il premio di maggioranza e le liste bloccate.
Diceva prima del problema della soglia del premio.
Il premio rende governabile un Paese, non il contrario; certo, se è eccessivo può delegittimare i governanti e occorre fare attenzione, ma la riflessione va fatta a monte, sull’intera formula. Non a caso, l’olandese Arend Lijphart spiega che i sistemi elettorali non sono più o meno efficaci in via generale e astratta: nelle società frammentate come la nostra è più indicato il proporzionale, che pur essendo meno efficiente risulta più efficace perché garantisce la pace sociale e, dunque, la governabilità. Renzi parla di velocità di decisione, di efficienza, ma non è detto che l’efficienza e la semplificazione siano la scelta migliore. Non troviamo capri espiatori nelle leggi elettorali. Ci ha ingannato l’aspettativa che bastasse dare regole nuove per cambiare la realtà politica, che è figlia anche delle culture e delle divisioni che persistono tra le persone, nel loro animo.
Poi c’è il punto delle liste bloccate.
Qui la Corte costituzionale è stata molto rispettosa dei rilievi del Presidente della Repubblica, anche se non capisce giuridicamente su cosa si fonda la sua decisione, specie sul punto che riguarda la preferenza: dov’è scritto che se si adotta il proporzionale dev’esserci la preferenza? La Spagna e la Germania, per dire, non mostrano sensibili differenze costituzionali sul punto, ma la preferenza non la prevedono. La decisione, stando al comunicato della Corte, è poi molto curiosa, perché lascia invariate – o non sembra criticare – vari punti caratterizzanti della legge.
Ad esempio quali?
Penso al presupposto del premio, cioè la coalizione, che resta, con tanto di obbligo di presentare un unico capo e programma; ora però servirebbe solo ai partiti minori per godere di soglie di sbarramento più favorevoli. In più, mentre critica l’assenza della preferenza per il troppo potere che i partiti avrebbero nella determinazione degli eletti, la decisione non sembra toccare il potere dei partiti di scegliere, dopo il voto, chi entra in Parlamento decidendo chi, essendo candidato ed eletto in più circoscrizioni, si dimette in questa o in quella circoscrizione. Sono tutti accordi post-voto, che prescindono dalla volontà degli elettori e della loro libertà di voto. Diverso sarebbe stato se si fosse eliminata la possibilità di praticare la multicandidatura, ma su questo la Corte per ora tace.
Si poteva intervenire per evitare questo problema?
Beh, quando io sono stato ascoltato in Parlamento in alcune audizioni, avevo evidenziato il fatto che nulla ci impediva di modificare anche le circoscrizioni, facendole diventare più numerose: in quel modo, avremmo avuto liste bloccate più corte – un po’ come il sistema spagnolo, per dire – e avremmo risolto il problema, anche perché il cambio non avrebbe inciso sull’assegnazione dei seggi agli schieramenti, visto che avviene a livello nazionale e non delle singole circoscrizioni.
Ha citato uno dei tre sistemi che è entrato a far parte della terna proposta da Matteo Renzi, assieme al Mattarellum corretto con premio di maggioranza e al “sindaco d’Italia”…
Pensi che io sono l’autore materiale della legge che ha portato all’elezione diretta dei sindaci: la ideai già nel 1988. Quel sistema fu criticato da alcuni colleghi “riformisti” perché prevedeva la coalizione tra partiti e questo a loro dire avrebbe mantenuto in vita partiti che dovevano essere dichiarati defunti: loro avevano in mente piuttosto un sistema a lista unica e senza coalizioni, come quello dei comuni sotto i 15mila abitanti. Ora invece il “sindaco d’Italia” va bene…
Delle tre proposte indicate da Renzi, qualcuna le sembra più indicata di altre per l’Italia?
Quella che mi sembra più semplice da realizzare – sempre che non ci sia un veto della Corte – è quella del doppio turno di coalizione, proprio quella del “sindaco d’Italia” che però altro non è che un Porcellum rivisitato. Poi c’è il Mattarellum rivisitato (che però mi sembra complicato) e poi il sistema “spagnolo”. Su questo non avrei nulla da obiettare, ma non per come lo stanno descrivendo sui giornali, che parlano di 118 circoscrizioni, probabilmente da ricavare a partire dalle province. A Costituzione invariata avremmo almeno una trentina di circoscrizioni che eleggerebbero uno o al massimo due deputati: dov’è il sistema proporzionale, con almeno 3 seggi per circoscrizione? Il fenomeno si aggraverebbe riducendo il numero dei parlamentari: anche se nessuno ne parla, dobbiamo darci un sistema che funzioni in modo accettabile anche in prospettiva di quella riforma.