Renzi e la riforma elettorale: E se si stessero incartando?
Come abbiamo visto la scorsa settimana, assieme al Job Act, è il tema delle riforme istituzionali al centro dell’agenda politica del nuovo segretario del Pd Matteo Renzi.
Il Sindaco di Firenze, che ha proposto alle altre forze parlamentari un ventaglio di tre differenti formule elettorali, ha l’obiettivo di modificare entro i primi due mesi dell’anno il Porcellum e di chiudere entro l’anno solare 2014 le partite delle riforme sulla forma di governo.
Nonostante tutto emerge qualche difficoltà all’orizzonte.
Nella “Settimana Politica” di sette giorni fa abbiamo analizzato come la terza proposta di legge elettorale di Renzi (quella del “modello dei sindaci”) sia in realtà impraticabile, stando alla strategia politica renziana se non addirittura non auspicabile in quanto frutto di un enorme confusione di tipo istituzionale e giuridico (si tratterebbe infatti non del sistema maggioritario al doppio turno francese, ma una forma di elezione diretta del primo ministro che oltre a rendere farraginoso l’iter di riforma produrrebbe delle conseguenze istituzionali poco augurabili).
Oggi, soprattutto a seguito della sua ultima newsletter, a questa difficoltà di tipo tecnico si inseriscono anche una variabile di tipo politico e una di tipo costituzionale.
-Il problema di tipo politico sta nel fatto che Renzi, avendo scelto la strada dell’accelerazione sulla legge elettorale, ha di fatto abdicato nel voler individuare un modello “perfetto” di formula per il suo partito. La cosa appare anche comprensibile: nel corso della segreteria Bersani si cercò di individuare una linea del Pd sul tema, dando vita ad una discussione interminabile che non solo non ottenne risultati contingenti ma non riuscì nemmeno ad unificare le varie anime del Nazareno. Del resto di quella proposta e di quella elaborazione non rimane più nulla nel dibattito politico (se non la possibilità di un diritto di tribuna del 10% da inserire nel Mattarellum corretto).
Da qui il “ventaglio renziano”. Che può portare ad un’imminente abolizione del Porcellum, ma anche a dei rischi politici. Le forze politiche interpellate sul tema infatti stanno portando avanti i loro calcoli di convenienza perlopiù finalizzati a danneggiare i principali movimenti a loro concorrenti. Un caso macroscopico è quello che riguarda Forza Italia e Nuovo CentroDestra: la creatura politica berlusconiana ha messo al primo posto nelle sue preferenze il sistema elettorale iberico (a dire il vero da sempre un pallino di Verdini), al secondo il Mattarellum corretto e al terzo il “modello dei sindaci” (si percepisce la difficoltà dell’autore nel chiamarlo in questo modo?).
E’ interessante notare come invece la lista di priorità del movimento politico di Angelino Alfano sia del tutto opposta a quella di Berlusconi. In uno schema di questo tipo non è escluso dunque che Forza Italia punti a creare, sfruttando questo ventaglio, contraddizioni in grado di generare frizioni tra Renzi e Letta, minare la stabilità dell’esecutivo ed ottenere le elezioni anticipate a maggio tanto agognate da Berlusconi. Il Pd non ha margini d’azione illimitati in questa partita, perché deve preservare sia l’esecutivo, sia il suo ruolo di soggetto politico perno dello schieramento di centrosinistra, sia le ambizioni di Renzi nel non farsi logorare su questa partita.
Di conseguenza la strategia secondo cui c’è una rosa di proposte che possono scegliere gli altri non è detto porti a risultati politici desiderati (anzi: la storia insegna che molto spesso il centrodestra ha cercato di mettere in difficoltà i propri avversari attraverso una rosa di proposte “made in centrosinistra” ma apparentemente non disprezzate dal centrodestra stesso).
-Un secondo rischio invece è di carattere prettamente istituzionale e riguarda la tanto attesa modifica del farraginoso bicameralismo paritario che riguarda il nostro paese. Anche su questo Renzi è stato chiaro: la camera alta (ovvero Palazzo Madama) non dovrebbe votare la fiducia al governo, ma diventare un’assemblea in grado di rappresentare le istanze degli enti locali e di svolgere una funzione consultiva.
Il grande rischio di questa volontà politica sta però nel fatto che il segretario democratico non ha affatto specificato come dovrebbe essere la composizione del Senato. E la definizione della composizione è fondamentale anche per capire la funzione stessa dell’organismo. Nella sua ultima newsletter Renzi ha espresso simpatia politica nei confronti della proposta del “Sole 24 Ore” di nominare alcuni rappresentati del mondo culturale italiano all’interno del Senato.
Il problema è che se si parla di un Senato “degli enti locali” ci si dovrebbe rifare alle esperienze del Bundesrat tedesco o di quello austriaco dove gli enti locali, attraverso le proprie giunte regionali nel primo caso e i propri consigli provinciali nel secondo, nominano i propri rappresentanti al Senato. Mentre se si parla di inserire tra gli altri esponenti della cultura ci si rifà ad un’impostazione del tutto diversa, quasi corporativa e in grado di ricalcare quella del Senato francese nel corso del dibattito costituzionale nel 1958.
La prima criticità è di tipo politico, può essere risulta con l’acume e con una sagacia tattica di cui il Pd senz’altro dispone. La seconda invece sembra più dettata da superficialità o da una mancata chiarezza. Che però, se non viene sciolta, rischia di ritorcersi contro la stessa buona volontà dei suoi proponenti.