Nel gran bazar dei diritti d’autore, vince il libero mercato. Ma chi perde?
La società consortile dei fonografici (SCF) potrà dar seguito all’accordo concluso con It’s Right – la prima delle nuove società di intermediazione dei diritti connessi presentatasi sul mercato a seguito della liberalizzazione del mercato disposta dal Governo Monti – e versare a quest’ultima circa cinque milioni di euro destinati agli artisti, interpreti ed esecutori ormai da anni.
Il Nuovo Imaie – ex monopolista di fatto dell’intermediazione dei diritti connessi ed erede dello storico IMAIE in liquidazione – dovrà, almeno per il momento, accettare di non essere più da solo sul mercato.
E’ la sintesi della prima puntata di una vicenda giudiziaria tanto appassionante sotto il profilo giuridico quanto mortificante sotto quello politico e culturale.
Ma cominciamo dal principio.
A seguito della liberalizzazione del mercato dei diritti connessi al diritto d’autore disposta – per la verità in modo un po’ affrettato ed approssimativo dal Governo dei professori – si era venuta a creare un’insostenibile situazione di paralisi del mercato nella quale gli utilizzatori ed i grandi collettori di diritti, raccoglievano fiumi di denaro destinati agli artisti, interpreti ed esecutori senza, tuttavia, procedere alla loro effettiva ripartizione tra questi ultimi, nel dubbio – talvolta legittimo, talaltra capzioso – circa la società di intermediazione dei diritti alla quale pagare quanto dovuto.
Il Governo – quello attuale – anziché intervenire in modo risoluto a sbrogliare una matassa obiettivamente complicata, garantendo che la liberalizzazione producesse effettivi benefici per i titolari dei diritti e rendesse efficiente un sistema che, sin qui, certamente tale non è stato, ha tergiversato e nicchiato, agendo in modo, bisogna scriverlo senza esitazioni pilatesco, con una botta al cerchio ed una alla botte.
Il risultato, come facilmente prevedibile, è stato che da una parte l’ex monopolista ha fatto il possibile per assicurarsi una posizione di privilegio anche nel presente e nel futuro e che, dall’altra, gli altri hanno, giustamente, iniziato a “scalciare” per veder trasformata da astratta in concreta la possibilità di operare, ad armi pari, nel neo-mercato dell’intermediazione dei diritti.
In questo contesto, nei mesi scorsi, la principale società dei fonografici italiani ha raggiunto un accordo con l’unica – all’epoca – concorrente del Nuovo IMAIE nell’intermediazione dei diritti connessi, impegnandosi a versare a quest’ultima circa venti milioni di euro perché li versasse agli artisti, interpreti ed esecutori che le hanno dato mandato.
Si tratta di un fiume di denaro, relativo ad utilizzazioni vecchie di oltre due anni nonché di una valanga di soldi raccolti a titolo di compenso da copia privata [ndr quello stesso compenso che oggi si discute di aumentare, preoccupandosi, forse, troppo poco di se, come e quando, i denari in questione arriveranno davvero nelle tasche dei loro legittimi titolari].
Il Nuovo IMAIE che, pure, a quanto si apprende dagli atti processuali era stato invitato a prendere parte al medesimo accordo, dopo aver ritenuto di non sottoscriverlo ha chiesto al Tribunale di Roma di sospenderne, in via d’urgenza, l’efficacia, per una lunga serie di ragioni che possono essere riassunte nella convinzione che la It’s Right – prima ed ultima arrivata sul mercato – non abbia titolo per incassare i denari in questione ed in quella che l’accordo non tuteli adeguatamente gli interessi degli artisti, interpreti ed esecutori.
Il Dr. Giuseppe Cricenti, Giudice Designato della sezione specializzata di proprietà intellettuale del Tribunale di Roma però, dopo aver dato atto – con grande trasparenza e schiettezza – che “le norme che disciplinano la ripartizione dei compensi ad autori interpreti ed esecutori…costituiscono, allo stato, un complicato sistema di regole, soggetto ad interpretazioni non necessariamente univoche”, ha ritenuto, senza grandi esitazioni, che la liberalizzazione del mercato, induca, oggi, a ritenere che l’ex monopolista di fatto, non abbia più alcuna valida ragione per opporsi a che l’intermediazione dei diritti resti completamente affidata all’autonomia privata.
Certo è solo una decisione cautelare, una battaglia-lampo – per dirla in gergo militare – e, dunque, non si può ancora dire chi tra i contendenti vincerà la guerra.
Balza, però, agli occhi il nome di chi, almeno sin qui, la guerra rischia di averla persa davvero ed è quello degli artisti, interpreti ed esecutori e quello del grande pubblico degli utilizzatori e fruitori di opere protette da diritto d’autore.
I primi, fino a qui, sconfitti perché il Governo li ha, di fatto, abbandonati a poche regole malscritte incapaci di governare dinamiche di mercato straordinariamente complicate ed i secondi perché richiesti, ogni giorno di più, di pagare compensi e balzelli per fruire di contenuti artistici e culturali e dover poi assistere a spettacoli da gran bazar dei diritti d’autore ceduti, venduti e intermediati “a peso”, quasi che la cultura fosse una merce come ogni altra.
E’ questa la faccia meno edificante di questa vicenda: il ritrovarsi costretti a prendere atto, dopo aver fatto il tifo per il libero mercato, che ancora non ci siamo e che i diritti connessi degli artisti, interpreti ed esecutori, in Italia, non sono ancora, effettivamente, nelle mani di questi ultimi.
E’ un mercato giovane e c’è da augurarsi che si farà ma è indispensabile che il Governo non continui a voltarsi dall’altra parte ed intervenga scongiurando ogni tentazione di proiettare nel presente e nel futuro i monopoli di ieri ma, ad un tempo, garantendo davvero che merito e lavoro di artisti, interpreti ed esecutori siano guida sicura nel riparto dei diritti.
Se un giorno gli utenti di musica saranno posti nella condizione di sapere davvero a chi va quanto viene chiesto loro di pagare, forse saranno disposti, persino, a pagare di più e si ricreeranno le premesse per un nuovo patto sociale tra chi produce e chi fruisce di arti e cultura.