Diritto d’autore: prevale il buon senso. Stop di Bray sulla ‘copia privata’
Massimo Bray, ministro dei Beni e delle attività culturali vuole capire se davvero i consumatori italiani utilizzano smartphone, tablet, pc, hard disk, pendrive, cd ed altri analoghi dispositivi e supporti per effettuare copie private di opere musicali e cinematografiche e se queste abitudini di consumo siano davvero tanto cresciute negli ultimi anni da giustificare gli straordinari aumenti delle tariffe del cosiddetto compenso da copia privata che, nelle scorse settimane, Siae e l’industria dei contenuti avevano chiesto a gran voce.
E’ questa la decisione annunciata, questa mattina, dal Ministro nel corso di un’affollata audizione, alla presenza dei rappresentanti delle maggiori associazioni di categoria dei diversi stakeholders: industria dei contenuti, autori, produttori e distributori di elettronica di consumo e consumatori.
Alla fine, dunque, ha prevalso il buon senso o, magari, ci si sbagliava [n.d.r. ovviamente incluso chi scrive] nel temere che il Ministero si sarebbe lasciato tirare per la giacchetta dalla Siae, disponendo, quasi “alla cieca”, un astronomico aumento delle attuali tariffe dell’equo compenso da copia privata che avrebbe portato oltre dieci milioni di euro nelle tasche della Società di Viale della letteratura e dragato risorse per circa duecento milioni di euro dalle tasche dei consumatori.
Accadrà, invece, quello che avrebbe dovuto accadere sin dall’inizio. Si misurerà, con metodo scientifico – per quanto possibile –, se e quali dispositivi e supporti i consumatori italiani sono soliti utilizzare per effettuare copie private di opere dell’ingegno e sulla base di quanto emergerà si deciderà se e come correggere le tariffe attualmente in vigore.
E’ il trionfo non solo del buon senso ma anche della legalità perché si farà esattamente ciò che la disciplina europea stabilisce si faccia, rinunciando ad imboccare le facili scorciatoie da molti suggerite che avrebbero preteso si procedesse sulla base di sedicenti medie europee assai poco matematiche ed almeno equivoche nei presupposti.
Occorrerà, tuttavia, prestare grande attenzione a che, nella ricerca di mercato, non si perda mai di vista il fatto che l’equo compenso da copia privata mira ad indennizzare l’autore solo ed esclusivamente del pregiudizio che soffre quando un consumatore, per scopi personali, effettua una copia della sua opera ulteriore e diversa da quella acquistata o estranea all’oggetto della licenza ma non pirata.
L’uso di un dispositivo – uno smartphones per esempio – per ascoltare musica in streaming o scaricata da una piattaforma come I-Tunes, non ha niente a che vedere con la disciplina sull’equo compenso da copia privata e, dunque, il fatto che i consumatori italiani, ormai, utilizzino frequentemente il loro smartphone per fruire di contenuti musicali, di per sé, non significa che tale dispositivo venga utilizzato per effettuare una “copia privata”.
Egualmente il concetto della “copia privata” non ha niente a che vedere con quello della “copia pirata”. L’equo compenso cui si riferiscono le tariffe che il Ministero nelle prossime settimane dovrà decidere se e quanto aumentare, non mira, in alcun modo, ad indennizzare gli autori del danno che pure soffrono quando qualcuno effettua una copia pirata della loro musica o del loro film.
Non resta, dunque, che attendere di conoscere i risultati della ricerca di mercato con l’ovvio auspicio che, non appena disponibili, il Ministero li pubblicherà, accompagnati da ogni nota metodologica utile a spiegarne significato e contenuto. Sembrano prove tecniche di dialogo, mediate da un’illuminata regia ministeriale nell’interesse della cultura che non appartiene a questa o a quella categoria ma all’intero Paese.
Convincere i consumatori dell’equità sostanziale di un prelievo nelle loro tasche a beneficio dei loro artisti preferiti è il primo indispensabile passo per tentare di ricomporre la frattura del patto sociale tra produttori e fruitori di cultura che, purtroppo, da tempo sembra essersi prodotta.
Complimenti, Ministro, anche da chi, come me, forse sbagliando, aveva temuto che, nel “nome della cultura”, stesse per consumarsi un ennesimo sacrificio in danno dei cittadini e del futuro.