Monti, la rivoluzione fiscale e quella sfida ai partiti
E’ una vera e propria rivoluzione copernicana quella a cui stiamo assistendo in questi giorni sul fronte della lotta all’evasione fiscale. E non tanto per l’azione della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate che sta facendo cosi animatamente discutere il mondo politico italiano. Ma per le dichiarazioni di sabato del Capo del Governo Mario Monti, capace in poche parole di smontare l’ultradecennale postulato che ha fatto la fortuna della politica economica in salsa berlusconiana.
[ad]In primis Monti ha ribadito, cosa che nel centrosinistra non si è mai riusciti a dire in maniera efficace dal punto di vista comunicativo, che è obbrobriosa la definizione secondo cui lo stato, e quindi anche la politica, in certi casi “mette le mani nelle tasche degli italiani”.
Una brutta definizione sia perché sembra sviare dalle autentiche finalità della tassazione (indipendentemente dai nostri pareri su quanto sia elevato il carico fiscale) sia perché mette in cattiva luce le istituzioni statali che compiono il loro dovere nella fase di riscossione delle imposte.
Ma Monti ha fatto di più. Ha anche detto che se proprio si intende utilizzare questa definizione, occorre utilizzarla correttamente. E quindi tecnicamente se c’è qualcuno che mette le mani nelle tasche degli italiani non è lo stato. Ma l’evasore.
E’ lampante la portata di questa rivoluzione culturale: dal “mi sento autorizzato ad evadere se la tassazione è al 50%” di berlusconiana memoria ad una difesa netta nei confronti della spesso troppo vituperata Guardia di Finanza da parte dell’attuale Presidente del Consiglio.
Se si ragionasse solo nell’ottica dei fini, possiamo ben dire che le dichiarazioni montiane potenzialmente possono avere un efficacia maggiore rispetto alle dichiarazioni di Tommaso Padoa-Schioppa che, volendo evidenziare come le tasse servano per finanziare i fondamentali servizi del nostro paese, incappò in quella che la vulgata continua a definire una “gaffe comunicativa”.
La nettezza di Monti su questo tema dovrebbe in primo luogo interrogare il centrodestra. Non tanto per il suo dna ideologico ostile a qualsiasi forma di lotta all’evasione fiscale, ma per il nuovo clima che si rischia di delineare nel paese.
Se infatti questa “rivoluzione copernicana” di cui stiamo parlando si concretizzerà realmente non è escluso che possa emergere, in seno al centrodestra, la necessità di ripensarsi radicalmente. E non solo in termini di leadership.
Perché la sfida montiana sta proprio in questo: osteggiare il fenomeno dell’evasione fiscale non solo perché iniquo nei confronti della fasce più disagiate della popolazioni, che necessitano maggiormente dei servizi pubblici che il fisco dovrebbe essere in grado di erogare, ma soprattutto perché paralizzante per i settori produttivi del paese. Un’evasione cosi estesa soprattutto da parte dei liberi professionisti crea un’evidente situazione di concorrenza sleale in cui taluni soggetti economici ed alcune categorie sono avvantaggiate dal punto di vista imprenditoriale grazie all’evasione fiscale.
Un insulto a qualsiasi precetto legato ai principi del libero mercato e della concorrenza.
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