Caso De Girolamo: che la privacy non diventi un alibi
Il Ministro Nunzia De Girolamo ha dato mandato ai suoi legali di presentare un esposto al Garante per la privacy in relazione alle registrazioni del contenuto dei “vertici del direttorio” svoltisi a casa sua, mentre era ancora ‘solo’ un deputato della Repubblica. La tesi del Ministro dell’Agricoltura è che tali registrazioni e la loro conseguente diffusione sui giornali costituiscano una violazione della sua privacy.
A leggere molti quotidiani di oggi e le dichiarazioni rese da illustri esponenti della politica italiana, sembra che quella della violazione della privacy rappresenti anche – non è chiaro in che termini – la “linea di difesa” che la titolare del Dicastero dell’Agricoltura intende seguire nel riferire, venerdì, in Parlamento.
E’, naturalmente, sacrosanto che Nunzia De Girolamo chieda al Garante per la Privacy di accertare eventuali violazioni del proprio diritto alla riservatezza ma, ad un tempo, è almeno inopportuno che si scomodi la legge sulla privacy per difendersi politicamente in parlamento – perché ancora non consta esservi un procedimento penale a suo carico – rispetto a contestazioni che riguardano le modalità con le quali un Ministro della Repubblica, all’epoca dei fatti Deputato – come ama ricordare l’On. De Girolamo quasi che si trattasse di una circostanza attenuante – gestisce la “cosa pubblica” come se fosse “cosa privata”.
Le contestazioni che vengono mosse all’attuale Ministro della Repubblica hanno carattere politicoe riguardano il governo della sanità locale, ovvero un ambito di servizi che è legittimo attendersi siano gestiti da chiunque abbia responsabilità istituzionali – dirette o indirette – con il rispetto, la trasparenza e la serietà che occorre quando si maneggia uno dei più sacri dei diritti costituzionali: quello alla salute dei cittadini.
Quanto emerge dalle intercettazioni all’origine della vicenda, anche a prescindere dal linguaggio sboccato e volgare utilizzato dal Ministro – pare dovuto ad una giornata particolarmente difficile – offre, al contrario, uno spaccato nel quale i servizi strumentali a garantire il diritto alla salute dei cittadini vengono gestiti con dinamiche da bisca o scommesse clandestine.
Un luogo privato “prestato” – quasi che non esistano sedi istituzionali nelle quali assumere quel genere di decisioni – in ufficio di un “direttorio” nel quale si confrontano soggetti che esercitano influenze diverse ed ulteriori rispetto a quelle che competerebbero loro in relazione al ruolo ed alle mansioni che occupano nella pubblica amministrazione e nelle istituzioni democratiche.
E’ curioso che la “padrona di casa” dopo aver consapevolmente trasformato la propria abitazione in un luogo per la discussione e l’assunzione di decisioni di carattere pubblico ed avervi “invitato” a partecipare una serie di amministratori pubblici, rivendichi oggi la “sacralità” del proprio domicilio.
La privacy, in questa vicenda, non c’entra ed evocarla rischia di trasformare un diritto ed una libertà fondamentale alla quale i cittadini dovrebbero affezionarsi ogni giorno di più come l’ennesimo alibi attraverso il quale pochi privilegiati provano a “ricoprire” i loro piccoli e grandi errori.
Non è solo una questione di principio.
Nella vicenda la privacy non c’entra neppure a norma di legge come, c’è da augurarsi, chiarisca, il prima possibile, il Garante per il trattamento dei dati personali e la riservatezza.
L’autore delle intercettazioni che oggi inchiodano il Ministro De Girolamo almeno alle sue responsabilità politiche, infatti, le ha effettuate per difendersi – a torto o a ragione – dinanzi ad un giudice e non le ha – almeno per quanto noto – utilizzate in sedi diverse.
E’ lo stesso Codice Privacy a riconoscere a chiunque il diritto di trattare altrui dati personali, senza informare gli interessati né chiedere il loro consenso, all’unica condizione che i dati in questione siano utilizzati esclusivamente “per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria” e nei limiti strettamente necessari al perseguimento di tale obiettivo.
Altro, sin qui, Felice Pisapia, autore delle intercettazioni, a quanto è dato sapere non ha fatto. Che, poi, i media abbiano pubblicato e commentato le intercettazioni in questione è, evidentemente, un’altra storia che ha a che vedere con il bilanciamento tra la privacy del personaggio pubblico e la libertà di informazione.
Il parametro di tale bilanciamento è, probabilmente, espresso meglio che in ogni altra disposizione di legge nel comma 2, dell’art. 6 del “Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica”, secondo il quale: “La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica.”.
Difficile, nella vicenda De Girolamo, sostenere che i dati personali “carpiti” nel domicilio di questa ultima – per la verità prestato per l’occasione a sede para-istituzionale – non abbiano “alcun rilievo” sul “ruolo o sulla…vita pubblica” di quella che ieri era un nostro rappresentante parlamentare e, oggi, è un Ministro della Repubblica.
La privacy, in questa storia, non c’entra.
Grave o meno grave che sia quanto emerso dalle intercettazioni in questione è di evidente e straordinario interesse pubblico.