The Rebounder: Dennis Rodman 2ª parte
La parte di Dennis Rodman che sopravvive al suicidio nel parcheggio si presenta alla dirigenza Pistons chiedendo sostanzialmente di essere ceduto. Detroit, in fase di ricostruzione, coglie l’occasione e lo spedisce a San Antonio, non esattamente il massimo a livello di appeal da grande città, di star system e di vita mondana. In sostanza, un eremo. Però con una più che buona squadra di pallacanestro e un all star come David Robinson su cui fare affidamento e giocatori importanti come Dale Ellis, Willie Anderson e Vinnie Del Negro, proprio quello visto anche qui da noi in Italia. Tecnicamente parlando, Rodman inizia ad essere impiegato da ala forte, per motivi più strutturali (molto irrobustito rispetto agli inizi di carriera) che anagrafici (32 anni), mentre dal punto di vista comportamentale, dopo la svolta di cui vi abbiamo già raccontato e con l’avanzare dell’età, diventa un veterano sempre più maturo e coscienzioso e dallo stile di vita irreprensibile… Sì, come si dice in questi casi.. CIAO.
Negli anni a San Antonio inizia a mostrare ogni sorta di bizzarria estetica e di atteggiamento, iniziando dai capelli completamente ossigenati sfoggiati in emulazione all’attore Wesley Snipes, il cattivo (toh) del film “Demolition Man”, per poi passare a più o meno tutti i colori conosciuti. Da lì un crescendo di piercing, tatuaggi, unghie smaltate, vestiti che non ve li raccomando, o forse sì, dipende da dove volete presentarvi, per raggiungere l’apoteosi del (rullo di tamburi) vestito da sposa (avete letto bene, con tanto di velo) con cui presiede alla presentazione del suo libro che, non credo meravigli nessuno, intitola letteralmente “cattivo come voglio essere”
Per aggiungere altro guacamole alla situazione, ci si mette in mezzo pure una love story con LA pop star del momento, nientemeno che Madonna, che per un paio di mesi fa avanti e indietro col jet privato per andare a trovarlo in Texas. Ma come ebbe modo di dire Shaquille O’Neal lasciando Orlando e i Magic per andare a Los Angeles sponda Lakers, certi acquari sono troppo piccoli per pesci così grandi, e la storia come detto si interrompe dopo un paio di mesi. Oh nel frattempo non è che Dennis in campo facesse mancare il suo contributo, anzi. Oltre a vincere come al solito la classifica dei rimbalzi per distacco (17,3 a serata), entra nel primo quintetto difensivo e la squadra vince 55 partite, centrando i play off ma uscendo subito contro Utah per 3-1 (ai tempi si giocava ancora la prima serie al meglio delle 5 partite). I problemi, guardacaso, iniziavano a sorgere all’interno dello spogliatoio, dove Rodman per usare un eufemismo, non legava molto con i compagni. In effetti, essendo l’anima del gruppo un giocatore equilibrato, di grande stile e per giunta molto religioso come Robinson, l’immagine del diavolo e dell’acquasanta rende discretamente l’idea della situazione. Il solo ad entrare nelle grazie del “verme” (soprannome che aveva già ai tempi di Detroit, niente moralismi se ve lo state domandando) fu Jack Haley, centro di riserva che si guadagnò tale onore accettando una sera di entrare in un bar gay con l’amico senza fare una piega. Su Haley tenete aperta una parentesi perché tornerà buono in seguito..
L’anno dopo agli Spurs le cose iniziano a precipitare per davvero. Non a caso il nuovo general manager della franchigia diventa Gregg Popovich, ex agente della CIA e uomo tutto d’un pezzo, poco incline a certe bizzarrie. Si arriva allo scontro in tempo record, con Rodman sospeso per le prime tre gare di stagione per “assenza ingiustificata” che rincara la dose facendosi lasciar fuori per ben diciannove partite. Come se non bastasse già tutto questo, Rodman ha un incidente in moto e si fa male ad una spalla. Ma come in moto? Ma non sarebbe vietato in teoria dal contratto NBA per i giocatori fare sport pericolosi e andare in moto? Eh sì, in teoria, per l’appunto. Danno e beffa allora, perché disputando così solo 49 gare non è possibile essere inseriti nelle classifiche di rendimento che ne prevedono almeno 60 disputate, e sfuma la possibilità di vincere il quarto titolo consecutivo di re dei rimbalzi. Ah no un momento, la regola dice che il minimo sono 60 partite o almeno 800 rimbalzi.. E allora che problemi ci sono? Anche con una spalla non al meglio Rodman ne tira giù 823 che, vi risparmio i calcoli, fa 16,8 per partita. E quarto titolo in faretra. Ma la squadra? La squadra viaggia alla grandissima, è prima per vittorie in stagione (62) e Robinson è l’MVP. Cosa manca per il titolo? Una coesione perfetta tra i giocatori, ovvio. Ecco che allora nella finale di conference contro Houston, quando Olajuwon inizia a portare letteralmente a scuola l’ammiraglio segnandogli in faccia in tutte le maniere, durante un time out David si rivolge al compagno di reparto chiedendogli aiuto. Cosa avreste risposto voi non lo so, Dennis freddò il compagno con un serafico “l’MVP sei tu. Arrangiati.” Chi vinse quella serie non ve lo sto neanche a raccontare, come non vi racconto neanche chi fece le valigie quella estate a tempo di record. Alla soglia dei 34 anni per Rodman era il momento di cambiare ancora una volta città.
Tutto sommato però, anche se comportamenti e problemi del soggetto erano noti, prendere ogni rimbalzo disponibile rende comunque discretamente appetibili sul mercato, specialmente se Michael Jordan è appena tornato dalla pausa in cui aveva cercato di diventare una star del baseball (sic) e si è accorto che la sua squadra, orfana di Horace Grant, ha bisogno di fisicità e, indovinate un po’, rimbalzi. Detto, fatto. A Chicago Rodman arriva in cambio di Will Perdue, che definire “una pippa” sarebbe ingeneroso ma non troppo distante dalla realtà, con tutto il rispetto. In più oltre a Jordan, Pippen, Kukoc e compagnia, ad accoglierlo c’è anche Phil Jackson in panchina, uno che della psicologia e del lavoro mentale ha fatto letteralmente un’arte. Quando il coach si presenta al primo colloquio in.. motocicletta, Dennis capisce di essere arrivato nel posto giusto. Per stare poi sul sicuro, Chicago firma anche Haley, QUEL Jack Haley (se avevate tenuto la parentesi aperta, ora potete chiuderla), in modo da aiutare il nuovo arrivato ad ambientarsi al meglio. A Chicago arrivano nuovi colori di capelli, nuovi tatuaggi, nuovi piercing, nuove scorribande nei locali notturni, una testata ad un arbitro e sei gare di squalifica (con multa), la quinta vittoria nella classifica dei rimbalzi, il record ogni epoca di vittorie in regular season (72) e una finale NBA contro Seattle. Qui il coach avversario, George Karl, manda in campo il muscolare Frank Brickowski (se lo avete dimenticato o non sapete chi fosse non preoccupatevi, a parte le sei gare di quella finale non è uno che abbia lasciato il segno, anzi) con il solo intento di provocare Rodman e mandarlo fuori partita con ogni mezzo. Il risultato finale? 4-2 per i Bulls e Brickowski in cura da uno bravo per davvero.
L’anno seguente il numero 91, che scelse proprio quel numero dicendo “Quali sono le prime due cifre che digitate quando c’è un’emergenza e avete bisogno di aiuto?” (In USA 911), ebbe problemi ad un ginocchio e fu meno incisivo dell’anno precedente, ma vinse comunque la sesta classifica dei rimbalzi consecutiva e contribuì in finale a limitare Karl Malone, alzando il quinto titolo personale e per i Bulls, e pazienza se anche in quel caso in mezzo ci scappò un’altra squalifica, stavolta per undici gare per aver colpito con un calcio un cameraman a bordo campo. Molti avevano definito l’ingaggio di Rodman “una scommessa”, e i Bulls l’avevano abbondantemente vinta. Jordan stesso di lui disse: “Come si concia o cosa dice non mi interessa. Abbiamo imparato a convivere con lui e ad accettarlo perché, anche se ogni tanto la sua mente si perde, non c’è nessuno che si butta come lui nei lavori più duri in campo. Con le sue stranezze, siamo qui a festeggiare il 2° titolo consecutivo”. Ed è esattamente questa la sintesi di Rodman, uno che per la testa può avere mille altre cose, ma che quando scende in campo fa di tutto per vincere, pur disinteressandosi sostanzialmente di segnare, ma esaltandosi nella difesa, nel lavoro sporco e , ovviamente nel prendere i rimbalzi.
L’ultimo esempio di questo si ebbe durante la terza stagione con i Bulls. La squadra arrivò di nuovo in finale con i Jazz, Dennis aveva vinto il settimo titolo consecutivo di miglior rimbalzista, e si giocava a Chicago gara quattro con i Bulls sopra 2-1. Ora se alla domanda “come passereste la vigilia di una gara così importante” c’è qualcuno che risponde “disputando un incontro di wrestling professionistico” mettendo però in pratica tale risposta, io posso pure, come faceva il rivale di zio Paperone, mangiarmi il cappello. Rodman lo fece, combattendo insieme ad Hulk Hogan la sera prima della partita. Le critiche sui giornali si sprecarono, i detrattori erano pronti con il fucile già spianato, ma il Verme non solo portò il suo solito contributo alla causa, ma risultò pure decisivo segnando un clamoroso quattro su quattro ai tiri liberi nel momento chiave del match (lui tiratore da poco più che il 50% in carriera). Chicago vinse quella partita e la serie, quella del memorabile canestro finale di MJ, per 4-2.
Negli anni seguenti, dopo un periodo di eccessi in cui attirò ogni parassita sociale possibile (“Perché Dennis non è capace di dire di no a nessuno”, raccontò uno dei suoi migliori amici), nel 2003 fece un nuovo tentativo di rientro più che quarantenne che non lo portò però oltre la lega satellite della NBA, vincendo comunque pure lì il titolo. In seguito, nonostante una nuova moglie e una nuova famiglia con due bambine, ebbe gravi problemi di alcol, vita sregolata e un altro incidente in moto in cui rischiò la vita. Probabilmente però la scelta della nuova compagna era stata tra le più giuste che avesse mai compiuto, se è vero che lei decise di restargli vicino ed aiutarlo a recuperare una vita normale. Lui dal canto suo sembrò aver capito finalmente la lezione, pur sentendosi stretti i panni dell’uomo di casa che porta le figlie al parco, e decise di essere per le sue figlie il padre che lui stesso non aveva mai avuto. Confesso che mi ha toccato il cuore l’idea che adesso sia diventato una persona tutto casa e famiglia.
Poi un po’ di tempo fa, più o meno nel periodo di massima tensione tra Corea del Nord e Occidente, ho letto di un ex cestista americano che era andato a trovare il leader coreano Kim Jong-Un (grandissimo appassionato di NBA), aveva i capelli colorati, i piercing, e pare abbia cantato “buon compleanno” all’amico asiatico, parlando con lui di basket, politica e chissà che altro. Addirittura tornerà lì -sembra- per allenare una selezione di ex giocatori NBA per una gara di esibizione o una roba del genere. Scusate se non vi riesco a dare dettagli più precisi, ma ho pensato a Dennis Rodman che diventa ambasciatore dell’ONU e salva il mondo grazie alla pallacanestro, e ha iniziato a girarmi un po’ la testa.
Marco Minozzi