Dopo poco più di un mese dalla sua nomina, si è già conclusa l’esperienza di Gianni Cuperlo alla presidenza del Partito democratico. Lo ha annunciato lui stesso durante la riunione della minoranza, in corso alla Camera, leggendo la lettera pubblicata anche sulla sua pagina Facebook, che motiva la sua decisione. Nel testo della missiva, Cuperlo ammette di essersi dimesso perché “allarmato” dalla concezione che Matteo Renzi ha del partito. E di averlo fatto non per “rancore, ma per essere libero”.
Ciò che Cuperlo rimprovera al segretario è la tendenza a volere un partito che ripiega verso “l’omologazione di linguaggio e di pensiero”. “Mi dimetto – aggiunge – perché voglio bene al Pd e voglio impegnarmi a rafforzare al suo interno idee e valori di quella sinistra ripensata senza la quale questo partito semplicemente cesserebbe di essere. Mi dimetto perché voglio avere la libertà di dire sempre quello che penso. Voglio poter applaudire, criticare, dissentire, senza che ciò appaia a nessuno come un abuso della carica che per qualche settimana ho cercato di ricoprire al meglio delle mie capacità”.
“Ancora ieri, e non per la prima volta – prosegue la lettera rivolta al segretario – tu hai risposto a delle obiezioni politiche e di merito con un attacco di tipo personale”. “Il punto – aggiunge – è che ritengo non possano funzionare un organismo dirigente e una comunità politica – e un partito è in primo luogo una comunità politica – dove le riunioni si convocano, si svolgono, ma dove lo spazio e l’espressione delle differenze finiscono in una irritazione della maggioranza e, con qualche frequenza, in una conseguente delegittimazione dell’interlocutore. Non credo sia un metodo giusto, saggio, adeguato alle ambizioni di un partito come il pd e alle speranze che questa nuova stagione, e il tuo personale successo, hanno attivato”.
Lo sfogo di Cuperlo prende le mosse dalla discussione avuta ieri sera, durante la direzione, relativamente alla proposta di Renzi sull’Italicum. “Non convincente”, “prevede liste bloccate”, “gli elettori non possono scegliere”: queste le motivazioni con cui il leader della minoranza aveva cassato la legge elettorale uscita dall’accordo con Berlusconi. Renzi però gli ha risposto per le rime: “Questo tuo riferimento esplicito al tema delle primarie o delle preferenze avrei preferito che lo avessi posto quando ti sei candidato, perché se me lo dice Fassina che prende 12mila voti è un conto un altro è se me lo dice chi entra nel listino. Non è accettabile che il tema delle primarie venga posto strumentalmente adesso”.
Amareggiato il commento del ministro Graziano Delrio: “Fino adesso il confronto si è mantenuto su toni civili, sugli elementi di merito, dopo una bella campagna per le primarie – spiega il ministro-. Ieri, alla riunione della Direzione, c’è stata qualche asprezza ma da parte di tutti, sia da parte di Renzi che da parte di Cuperlo. Ma questo è il nuovo stile del Pd dove tutti si esprimono con franchezza”. Delrio sottolinea ancora: “Non riesco a capire, non vedo le ragioni di un gesto del genere, anche perché il Paese attraversa un momento davvero importante. Abbiamo messo in piedi un quadro di portata storica che può far nascere la terza Repubblica e tutti, sia i partiti di maggioranza che di opposizione, sono impegnati perchè questa riforma venga approvata”.
E’ arrivata anche la risposta di Renzi: “«Caro Gianni, rispetto la tua scelta. Conosco la fatica che hai fatto nell’accettare la mia proposta di guidare l’Assemblea del Pd, dopo le primarie”. Siamo il Partito democratico non solo nel nome, del resto. Un partito vivo, dinamico, plurale, appassionato. Un partito vero, non di plastica. Un partito dove si discute sul serio, non si fa finta. A viso aperto e non nei chiacchiericci dei corridoi. Guardandosi negli occhi e non affidandosi alle agenzie di stampa». Pensavo, e continuo a pensare, che un tuo impegno in prima persona avrebbe fatto bene alla comunità di donne e uomini cui ti riferisci nella tua lettera. Comunità ampia. Che tutto può essere tranne che omologata nel linguaggio e nel pensiero”.
Renzi spiega ancora: «Ci aspetta un cammino intenso che può finalmente cambiare l’Italia. Quello che io ho potuto fare nel siglare l’intesa con gli altri partiti lo sai: se l’accordo reggerà avremo superato il bicameralismo perfetto, modificato l’errore del Titolo V, ridotte le indennità e i rimborsi dei consiglieri regionali, garantito il bipolarismo e il premio di maggioranza, introdotto il ballottaggio, ridotta la dimensione dei collegi, eliminato il potere di veto dei piccoli partiti che ha ucciso l’esperienza del centrosinistra con Prodi».
Renzi conclude: «Si poteva fare meglio? Sì, certo. Ma fino ad ora non si era fatto neanche questo. E rimettere in discussione i punti dell’accordo senza il consenso degli altri rischia di far precipitare tutto. Sono certo che questo non sia il tuo obiettivo e che – pur con funzioni diverse – ripartiremo insieme. Con l’amicizia di sempre, buon lavoro».