In questi giorni sono in corso trattative tra l’Unione Europea e l’Africa, intesa come gli organismi economici e politici regionali del continente, che dovrebbero portare alla firma di una serie di accordi economici definiti EPA, cioè Economic Partnership Agreements.
Con questi accordi l’Unione Europea chiede ai paesi ACP, cioè di Africa, Caraibi e Pacifico, di eliminare le barriere protezionistiche in nome del libero scambio perché così richiede il WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) che persegue la politica di totale liberalizzazione del mercato. Con gli EPA infatti le nazioni africane saranno costrette a togliere sia i dazi che le tariffe oltre ad aprire i loro mercati alla concorrenza.
La conseguenza sarà drammatica per i paesi ACP: l’agricoltura europea (sorretta da 50 miliardi di euro all’anno) potrà svendere i propri prodotti sui mercati dei paesi impoveriti.
I contadini africani, infatti, (l’Africa è un continente al 70% agricolo) non potranno competere con i prezzi degli agricoltori europei che potranno svendere i loro prodotti sussidiati. E l’Africa sarà ancora più strangolata e affamata in un momento in cui pagherà pesantemente i cambiamenti climatici.
L’Europa vuole concludere in fretta questo negoziato vista l’importanza strategica dell’accordo soprattutto per il rincaro delle materie prime che fanno molta gola alle potenze emergenti (i BRICS ), in particolare Cina, India e Brasile già così presenti in Africa.
Per di più gli EPA aprirebbero nuovi mercati per i prodotti europei, ma anche nuovi spazi per investimenti e servizi.
Circola un appello in rete, di cui i primi firmatari sono Vittorio Agnoletto e Padre Alex Zanotelli – e di cui sono firmatario anche io – che chiede ad associazioni, Istituti Missionari, ONG e semplici cittadini di premere sui politici per fermare questi accordi.
L’alternativa sarebbe non firmare questo appello, ma chiedere che l’agricoltura europea non sia sussidiata da quei 50 miliardi di euro all’anno (se libero mercato deve essere che lo sia!). Firmare, dunque. Una piccola, grande presa di posizione che per gli africani potrebbe fare la differenza.