Congresso Sel, Vendola “Il Pd non è nostro destino”
Circa un anno fa si pensava che il congresso di Sinistra Ecologia e Libertà si sarebbe celebrato con la partecipazione del partito al Governo. Ospite d’onore sarebbe stato il premier, Pierluigi Bersani. Invece la storia è andata in modo completamente inaspettato. Il Pd in coalizione col centrodestra (un periodo addirittura assieme all’avversario numero uno, Silvio Berlusconi) e Sel fuori dalla compagine di Governo per mano del neo Premier Enrico Letta. Logica conseguenza sono le parole del governatore pugliese, Nichi Vendola, che guarda al Partito Democratico sostenendo non sia il suo “futuro”.
Questa frase, in verità, nasce dall’ipotesi di federazione Pd-Sel avanzata da più esponenti dell’una e dell’altra organizzazione nei giorni passati, antecedenti al congresso di Riccione.
Stare all’opposizione, comunque, non sembra pesare eccessivamente a Vendola e i suoi: “la strada giusta” è lo slogan dell’assise. All’apertura il presidente Sel attacca frontalmente l’incontro Renzi – Berlusconi: “la sinistra ha cercato la vittoria in forma di scorciatoia elettorale e non in forma della sua missione. La fine della diversità berlingueriana ha schiuso le porte alla normalità berlusconiana. E il veleno è entrato anche nel nostro campo”.
Il veleno è il berlusconismo e chi ha aperto le porte è Renzi e la nuova dirigenza Pd. “Caro Matteo – dice Vendola – l’abbraccio con il Caimano è una maledizione per la sinistra moderata che ne esce sempre smontata. Si è dato all’uomo di Arcore il tempo e modo di truccare di nuovo la partita”). E qui annuncia la sua estraneità dal mondo (interno) dem: “non ho nessuna voglia di iscrivermi a nessuna delle correnti interne del Pd. Perché il Pd non è il mio né il nostro destino. Loro sono il nostro interlocutore non sono la nostra resa”, marcando quindi le sostanziali differenze trai due partiti. “Noi non intendiamo scioglierci fino a quando non nascerà il cantiere della sinistra del futuro”.
E se il Pd non è il destino dei vendoliani, al centro delle infuocate critiche il leader immette le larghe intese, bocciate senza possibilità di recupero: la sinistra si è trovata nel “pantano di governi, maggioranze, esperimenti politico-istituzionali che hanno danzato intorno alla crisi senza mai scoprire il fatto epocale che si andava manifestando: il ritorno della povertà”. Poi affonda: “la via più spregiudicata e iniqua, quella dell’intesa con l’avversario. Le larghe intese da Monti a Letta, passando per il parricidio simbolico, e neanche tanto, di Romano Prodi, sono state l’esito di una lotta interna al Pd”. Chiude sull’argomento: “le larghe intese sono state una deriva”.
Poi l’attacco a Grillo: la democrazia a 5 Stelle è, per Vendola, la “democrazia dell’invettiva e della bestemmia”. Ancora, polemizza sul leader del Movimento: “gli uomini della provvidenza, comici dilettanti o professionisti, non sono la soluzione del problema ma l’esplosione del problema”. La loro ‘rivoluzione’ è diventata un monologo, per giunta monotono.
Il centro degli argomenti si sposta alle elezioni europee, in programma a maggio. Sostenendo che toglierà il proprio nome dal simbolo, in funzione anti-personificazione dell’organizzazione partitica, asseconda il confronto ed il dialogo “con tutti ma Sel non deve avere paura di andare con il suo simbolo alle Europee”, marcando ancora le diversità tra il Partito Democratico e Sinistra Ecologia e Libertà, il cui congresso è stato salutato con affetto da un messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Contestazioni all’esponente della segreteria del Pd, il renziano Stefano Bonaccini, presente al congresso. Quando è salito sul palco dalla platea si è infatti levato il grido ironico dei delegati più giovani: “Bonaccini chi?”. E lui ha risposto scherzosamente: “Non mi dimetto, non vi preoccupate”.
Ma il momento più difficile arriva durante il discorso. Il brusio di disapprovazione cresce e interrompe a più riprese il suo discorso. Anche quando Bonaccini ha ricordato i danni e le vittime del maltempo in Emilia qualcuno in platea gli ha gridato: “buffone”. Sul tema più delicato, poi, quello delle riforme e della legge elettorale, è stato di nuovo interrotto sulla frase “le regole devono essere scritte assieme”. “Insieme a chi? a Berlusconi?”, gli è stato rimproverato dalla platea.
Nel corso del suo intervento l’esponente renziano apre però più di uno spiraglio sull’abbassamento delle soglie di sbarramento per i piccoli partiti. “Non abbiamo preclusioni a modifiche a larga maggioranza, che riguardino anche la soglia di sbarramento”.