Argentina, c’è il rischio di una nuova crisi finanziaria
Giovedì è stata la peggior giornata per l’economia argentina dal 2001, in altre parole da quando lo Stato sudamericano affrontava il drammatico default. Ieri, infatti, si è registrata un’incredibile svalutazione del peso argentino nei confronti del dollaro statunitense, riportando sui mercati il timore di una possibile crisi finanziaria per l’Argentina.
Il calo della valuta di oltre il 15% (da 7,15% a 8,60%) ha costretto il Banco Central de la República Argentina a intervenire, vendendo in pochi minuti 180 milioni di dollari, limitando così il deprezzamento all’8%. Si è trattato della perdita più ampia per il peso argentino su base giornaliera dopo oltre 10 anni e un duro contraccolpo per il governo che, dall’ottobre 2011, sta “controllando” la quantità di dollari a disposizione di privati e imprese per tutelare le riserve internazionali del Paese.
Sebbene lo stesso governo abbia sempre respinto la possibilità di una svalutazione monetaria, ieri il Banco Central è stato costretto a investire ben 100 milioni di dollari per limitare il crollo del peso, contro i 4,5 miliardi di dollari investiti complessivamente durante il 2013.
Il Primo ministro dell’Argentina, Jorge Capitanich, ha dichiarato: “Abbiamo deciso di autorizzare l’acquisto di dollari per le persone fisiche d’accordo con i redditi da loro dichiarati. Contemporaneamente abbiamo deciso di abbassare la tassazione sulle spese all’estero con carte di credito dal 35% al 20%. La decisione è stata presa perché il Governo ritiene che il prezzo del dollaro abbia raggiunto un livello accettabile a 8 pesos per 1 dollaro per i nostri obiettivi della politica economica. Queste misure entreranno in vigore da lunedì”.
Lo scorso novembre, Capitanich ha sostituito Abal Medina a seguito del rimpasto di governo deciso dalla presidenta Cristina Fernández de Kirchner. Inoltre, Axel Kicillof fu nominato come ministro dell’Economia e Juan Carlos Fábrega come Presidente del Banco Central sostituendo Mercedes Marcó del Pont.
Dopo questa piccola “rivoluzione” istituzionale, il peso si è gradualmente svalutato del 25%, mentre l’inflazione ha raggiunto il 25-30% alla fine del 2013, ed è previsto un nuovo aumento anche quest’anno. Finora, la stampa internazionale ha ricordato gli eventi della crisi del 2001, e forse in maniera impropria: quanto accaduto ieri, semmai, dovrebbe rievocare il “Rodrigazo”, ovvero la politica economica annunciata nel 1975 dall’allora ministro dell’Economia Celestino Rodrigo.
Rodrigo annunciò una svalutazione monetaria del 150% del peso argentino rispetto al dollaro statunitense, controbilanciata da un aumento dell’80% degli stipendi dei lavoratori, ma i risultati di tale iniziativa furono pessimi: l’inflazione si avvicinò a circa il 200%, provocando un’incredibile crisi. Al momento, ci sono le possibilità che si ripeta qualcosa di simile, però dipenderà dalle politiche che intraprenderà prossimamente il governo argentino.