Salta l’accordo sui capitali nascosti in Svizzera: per Letta non è più una priorità
Il contenzioso, su fisco e trattamento dei “frontalieri”, tra Italia e Svizzera si trascina ormai da anni: nonostante gli annunci degli scorsi giorni, che prevedevano una svolta nel giro di poco tempo, la situazione sembra ancora bloccata.
Il Ministro dell’Economia Saccomanni, giusto 5 giorni fa si trovava a Davos per seguire i lavori del World Economic Forum, aveva annunciato che, l’intesa con la Svizzera per la tassazione dei capitali esportati illegalmente all’estero, era vicina.
Ci si aspettava di raggiungere un’intesa per fine mese, invece, la “guerra fredda” tra Italia e Confederazione Elvetica sembra destinata a durare ancora, tra rapporti avvelenati e ritorsioni incrociate a causa della crisi delle banche elvetiche e della più grave recessione che abbia mai colpito l’Italia.
Domani a Berna, al Forum di dialogo tra Svizzera e Italia organizzato dalla rivista Limes, dall’Ispi e dal Ministero degli Esteri, sarebbe dovuto essere presente Enrico Letta – si prevedeva anche la firma di un accordo complessivo tra i due paesi su trattamento fiscale, segreto bancario e trattamento dei frontalieri – ma il Premier non ci sarà, al suo posto proprio Fabrizio Saccomanni.
È probabile che il governo non abbia più bisogno dell’intesa con la Svizzera per raggiungere il proprio obiettivo: i capitali nascosti degli italiani.
Dopo secoli di fughe di capitali verso le banche svizzere sembra, infatti, che il decreto sulle “voluntary disclosure” ovvero le dichiarazioni spontanee dei contribuenti e la legge svizzera che vieta alle banche di gestire fondi frutto di frode fiscale, di fatto, segnano la fine del segreto svizzero sui capitali italiani.
Con il decreto unilaterale del governo si prevede che in molti riporteranno in Italia i propri capitali, senza godere dell’anonimato, ma pagando al fisco molto meno di quanto farebbero in caso di accordo Roma-Berna, il 13-14% invece del 25-30%.
I corrotti arricchiti, i commercialisti delle mafie, i dirigenti d’impresa disonesti e tutti coloro che non rientrano nelle maglie della depenalizzazione italiana delle frodi fiscali porteranno altrove i loro capitali, a Dubai o a Singapore per esempio, ma lasceranno comunque la Svizzera che, dopo la promessa degli Usa di “distruggere” le banche svizzere che proteggono chi commette reati fiscali, ha dovuto accettare il “giro di vite” sui clienti dal dubbio “pedigree”.
Tale intreccio ha determinato una perdita di interesse nei confronti dell’accordo da parte del governo e, adesso, la Svizzera non ha più a disposizione la carta che le avrebbe permesso di arrivare al suo obiettivo: essere spuntati dalla “lista nera” internazionale per concorrenza sleale fiscale alla quale l’Italia li ha consegnati.
L’Italia, quindi, non ha fretta di offrire concessioni, visto che il segreto bancario svizzero sta sempre più svanendo: a pagarne il costo della scelta di Letta, però, potrebbero essere quei comuni italiani che dovrebbero ricevere il 40% dell’imposta sui redditi che il Canton Ticino raccoglie dai lavoratori “transfrontalieri” che a decine di migliaia ogni giorno si recano in Svizzera.
Il Ticino da tempo ha smesso di pagare, mettendo a rischio i bilanci di molti enti locali lombardi. Il governo non si fida neanche dell’invito di Berna ai Cantoni a non lanciarsi nella concorrenza fiscale con l’Italia per attrarne le imprese: una politica di aliquote basse, da “paradiso fiscale”, dovuta alla crisi bancaria svizzera, porterebbe alla rovina intere zone della Brianza e del Comasco. La Svizzera, in breve, resterà ancora nella “lista nera”.
Quindi niente pax alpina per ora.