Si riscalda l’atmosfera in Turchia. La banca centrale muove, ma non vince
Settimana in forte ribasso per i mercati mondiali, appesantiti dalla confusione che regna sui mercati emergenti. Dopo il caso Argentina è la Turchia a dominare l’attenzione.
In settimana la banca centrale, nel corso di una riunione convocata d’urgenza ha tentato di scioccare gli investitori attraverso un aumento dei tassi d’interesse da ben 425 punti, provando così a recuperare la credibilità perduta dopo il precedente meeting ordinario, che aveva deluso le attese lasciando i tassi invariati e facendo crollare la lira turca.
La mossa ha comunque avuto effetti limitati, poiché la lira è nuovamente tornata ad aggiornare i minimi storici nel corso delle ore successive, segno che i problemi turchi non potranno essere risolti semplicemente dalla politica monetaria. Da questo punto di vista l’uscita del premier Recep Tayyip Erdogan, secondo il quale un aumento dei tassi provoca inflazione, contrariamente a quanto unanimemente accettato, è il lato comico del problema.
Il governo appare costantemente sempre più debole e dunque sempre più incapace di gestire la crisi economica del proprio paese, che ormai cresce a ritmi dimezzati rispetto a quanto ci aveva abituato. Una crescita interiore al 5 per cento, come attualmente stimato, risulta essere insufficiente ad assorbire i nuovi entranti nel mercato del lavoro e soprattutto a tenere in “equilibrio” il deficit delle partite correnti. Tuttavia l’inflazione che si allontana dalla target lascia intendere che all’economia turca serve un raffreddamento. Si tratta di una situazione difficile, se si considera in particolare che a marzo il premier sarà chiamato alla prova di fiducia delle elezioni amministrative.
Intanto però la valuta forte presente in Turchia rischia di continuare a fuggire, lasciando sempre più disarmato l’esecutivo di Ankara. Come da tradizione il denaro affluito in Turchia in tempi di vacche grasse non è stato immobilizzato a lungo termine e pertanto risulta facilissimo smobilizzarlo e portarlo verso altri lidi. Peccato però che a Erdogan sia necessario come l’aria.
Qualcosa di simile sta accadendo in Sudafrica, dove la banca centrale ha a sua volta alzato i tassi di interesse nel tentativo di bloccare la caduta del rand, la cui debolezza rischia di provocare una catena di default corporate visto che gran parte dei debiti contratti sono in valuta forte. Anche in questo caso abbiamo un governo che non ha approfittato della liquidità per fare le riforme, e nel club aggiungiamo l’India, dove si continua a sentire l’effetto del rallentamento economico dovuto alla mancanza di riforme strutturali, e dell’inflazione, che ha portato la Reserve Bank al terzo rialzo dei tassi in pochi mesi. Da ottenere d’occhio anche Brasile e Russia, Paesi che verranno colpiti nel caso in cui, come sembra essere, il tapering porterà ad un calo dei prezzi delle commodity, di cui tali Paesi sono esportatori.
La settimana macroeconomica comincia lunedì con il rilascio di indici dei direttori degli acquisti (PMI) del manifatturiero per l’Europa, che dovrebbero confermare il periodo espansivo dell’economia.
Martedì conosceremo l’inflazione italiana, attesa in crescita su base mensile dello 0,2 per cento, ma comunque a livelli bassi (+0,7 per cento tendenziale).
Mercoledì sarà la volta dei PMI servizi, e qui la situazione è peggiore per svariati Paesi europei, che potrebbero avere letture inferiori ai 50 punti, come Italia e Francia. Le vendite al dettaglio nell’Eurozona dovrebbero segnare una frenata su base mensile di mezzo punto percentuale, tuttavia la crescita dovrebbe essere dell’1,5 per cento annuo.
Giovedì, come ogni primo giovedì del mese, si riuniranno le bande centrali di Londra e Francoforte: non sono attese novità, ma la conferenza stampa di Mario Draghi sarà come sempre da seguire con attenzione. Jobless claims statunitensi sempre attesi sotto i 350mila.
Venerdì conosceremo la produzione industriale di Gran Bretagna e Germania: su base mensile, per la prima si attende un ritorno alla crescita per lo 0,6 per cento, mentre la seconda dovrebbe crescere di mezzo punto, in rallentamento rispetto alla lettura precedente. Ma come ogni primo venerdì del mese gli occhi degli investitori punteranno al report sul mercato del lavoro, driver del tapering: più che il tasso di disoccupazione, converrà tenere d’occhio i nuovi posti di lavoro creati (si attende una decisa accelerazione) e l’andamento del tasso di occupazione, che darà indizi sul grado di “scoraggiamento” dei lavoratori USA.
Giovanni De Mizio