Italia digitale? No, grazie!
Un assessore di Civitanova Marche, ieri, è entrato in una scuola e – tra gli applausi dei presenti – ha spento il wifi, accogliendo la richiesta dei genitori degli alunni che si erano detti preoccupati che il wireless danneggiasse la salute dei figli.
La scorsa settimana il gestore di una piadineria di Asti è stato multato ad oltre 5 mila euro per aver messo a disposizione dei clienti quattro tablet per ingannare l’attesa della piadina e i quattro tablet gli sono stati sequestrati.
Solo un enorme can can mediatico ha reso possibile un “pentimento operoso” dell’agenzia delle dogane che ha disposto il dissequestro degli Ipad e annullato la multa.
Il mese scorso, il Ministro dei Beni e delle attività culturali, Massimo Bray stava per aumentare fino alla cifra record di oltre 200 milioni di euro il c.d. equo compenso da copia privata, ovvero l’importo che si paga quando si acquista uno smartphone, un tablet, un PC o un altro qualsiasi dispositivo astrattamente idoneo alla copia di contenuti digitali coperti da diritto d’autore.
Una “non-tassa” sulla tecnologia per indennizzare i titolari dei diritti del semplice rischio che qualcuno, nell’era dello streaming e delle licenze “su misura”, faccia una copia in più di un contenuto che ha legittimamente acquistato e pagato.
Con un po’ di apprezzabile buon senso – sebbene last minute – il Ministro ha, per ora, fermato tutto per capirci di più ma, nei prossimi giorni, se ne parlerà di nuovo.
Nei mesi scorsi, nascosta in un emendamento al Decreto “Destinazione Italia”, è saltata fuori una norma che prevede straordinari incentivi fiscali per promuovere la vendita e la lettura di libri purché di carta e non digitali.
Più o meno negli stessi giorni, si è “imbucata” nella Legge di stabilità l’ormai celeberrima “webtax”, una straordinaria creazione per mettere in fuga le poche webcompany che ancora frequentano il nostro Paese e metterci contro il resto d’Europa.
L’italiana SIAE, unica esclusivista ex lege dell’intermediazione dei diritti d’autore, è una delle poche – se non l’unica – società di gestione dei compensi in Europa che nel 2012 ha incassato, a fronte delle utilizzazioni digitali dei contenuti, meno di quanto aveva incassato nel 2011.
Presidenza della Repubblica, Governo, Ministeri, Parlamento, Autorità Indipendenti, Tribunali di ogni ordine e grado e, naturalmente, tutte le amministrazioni dello Stato, ogni anno, spendono milioni di euro per garantirsi l’accesso a banche dati di editori privati per consultare le leggi dello Stato giacché non siamo stati, sin qui, capaci di realizzare un portale nazionale delle leggi che rendesse inutile il ricorso ad ogni altro strumento di documentazione giuridica.
Abbiamo un Ministro ed uno stuolo di sottosegretari per ogni genere di questione dalla Coesione territoriale, passando per le politiche agricole e forestali sino ad arrivare alle Riforme costituzionali ed ai Rapporti con il Parlamento ma non abbiamo neppure un Sottosegretario all’innovazione seduto su un predellino e l’agenda digitale italiana e in mano a due commissari straordinari di Governo.
Siamo un Paese che guarda all’innovazione ed al futuro a testa in giù e dallo specchietto retrovisore, mentre si allontano sempre di più.
Tutto considerato, la sensazione è che a chi ci chiede se vogliamo un’Italia digitale, dovremmo rispondere con un cortese: “No Grazie!, Pensiamo di farne a meno ancora per parecchio”.