L’insegnamento della Storia dell’Arte nella scuola: assente
Dal 2008, con la prima grande riforma della Gelmini, l’insegnamento della Storia dell’Arte si sta progressivamente cancellando. Un paradosso all’italiana, Paese che può vantare il 44% dei beni artistici dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità, ma che nell’insegnamento delle discipline artistiche è dietro a Stati come Tunisia e Montenegro
Verrebbe da ridere, o forse più consapevolmente da piangere, ma nel Paese che più di ogni altro può definirsi ‘Bello’, vantando agli occhi del mondo bellezze artistiche dal valore inestimabile, talmente ricco di bellezza da passare persino inosservata, e a qualcuno banale, l’insegnamento di quelle che sono le sue radici, le sue tradizioni ed i propri geni, è in pratica ormai una storia vecchia quanto il nostro stesso patrimonio culturale. In barba infatti ai tanti capolavori di Michelangelo, Giotto, Leonardo, Raffaello, Caracci, Brunelleschi, Tintoretto, Canaletto, Tiziano, Balla, e tanti altri ancora fino a perdersi, che vengono ammirati nelle nostre sale quotidianamente da flotte di turisti provenienti da ogni angolo della Terra, e in barba agli oltre 700 siti e complessi archeologici dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità, che da soli costituiscono circa il 44% della bellezza totale al mondo, i nostri governi, tutti, sia di centrodestra, tecnici e di coalizione, hanno scelto bene in pratica di sopprimere l’insegnamento della Storia dell’Arte nella scuola italiana.
Introdotta da Gentile nel 1923 durante la riforma scolastica del ‘ventennio’, e divenuta progressivamente modello per l’Europa intera, data la competenza dei suoi maestri, sono anni ormai che questa disciplina è oggetto letteralmente di uno ‘stupro’ da parte della classe politica chiamata alla sua gestione, fendenti inferti alla nostra bellezza, al nostro patrimonio, alla nostra storia, alla cultura e alla tradizione, di cui i primi colpi hanno coinciso con l’inizio dell’attuale crisi economica, che tanto male sta facendo infatti al Bel Paese.
E’ dal 2009 infatti che l’insegnamento delle discipline artistiche nelle scuole italiane sta gradualmente estinguendosi, come se poi parlare di Bello e proporzioni, di prospettive e senso tragico espresso dal genio di un artista, sia ‘vanità’, tempo perso, inutile chiacchiericcio difronte alle evidenze di una ragione che ormai ha messo da parte la ‘Qualità’, per ridursi ad essere freddamente solo ‘numerica’ ed ‘utilitarista’. E’ dalla riforma del sistema scolastico del 2008, voluta a quel tempo dall’allora ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini, che il ‘Bello’ infatti non svolge più alcun ruolo pedagogico nell’educazione e nella formazione delle prossime generazioni, adducendo ragioni di riduzione della spesa pubblica.
Come molti sapranno, infatti, la riforma Gelmini, oltre aver voluto l’abolizione degli ‘obsoleti’ Istituti d’arte, ha imposto con essa una riduzione delle discipline artistiche anche nei ‘nuovi’ Licei artistici, oltre che una serie di misure come la cancellazione della Storia dell’arte dai bienni ginnasiali dei Licei classici e linguistici, e dagli indirizzi delle scuole professionali come il Turismo, la soppressione della Grafica dagli Istituti tecnici e dei professionali o la cancellazione del Disegno tecnico e Storia dell’arte dai bienni dei Licei scientifici e linguistici. Un vero accanimento, sembrerebbe, quello messo in atto dalla Gelmini nei confronti del Bello, che già a quel tempo, come molti ricorderanno, suscitò infatti fiumi e valanghe di polemiche, non soli tra gli ambienti della politica, ma anche e sopratutto tra quanti fanno dell’arte e del suo insegnamento il centro della propria vita.
Tant’è che da allora tentativi per ridare all’Arte il posto che merita ed iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica, sia sull’emergenza culturale che stava vivendo il Paese, sia per ripristinare il lavoro dei tanti docenti che con quella riforma avevano perso il posto, non se ne contavano più, e tutto lasciava presagire che poi ogni cosa sarebbe tornata come prima. Ebbene, a distanza di tempo si può ora iniziare a tirare le somme; dal 2008, neppure il cambio dei vari governi, ha cambiato il suo declino.
Nonostante infatti le tante iniziative, soprattutto a cavallo tra il 2012 e il 2013, alcune delle quali davvero autorevoli, come la raccolta di 15mila firme sostenuta dall’attuale ministro dei Beni culturali, Massimo Bray( presenti tra l’altro anche firme di illustri personaggi del panorama culturale italiano quali Adriano La Regina, Antonio Natali, Salvatore Settis, Claudio Strinati, delle associazioni come la Fai, Italia Nostra e Associazione insegnanti di Storia dell’arte), tutto in realtà è andato perso; quando infatti il 31 ottobre 2013 gli appelli dei cittadini arrivarono finalmente nelle aule parlamentari e Celeste Costantino, deputata alla camera per le file di Sel, presentò alla Commissione Cultura Scienze e Istruzione della Camera l’emendamento C 1574-A , quello che avrebbe dovuto rappresentare la rinascita della Storia dell’arte nella scuola secondaria, come al solito avvenne la più classica delle docce fredde. L’emendamento infatti «non trovò ascolto», bocciato perché, dice la motivazione della maggioranza della Commissione, reintrodurre la materia «significherebbe aumentare una spesa che è stata tagliata perché il Paese non è in grado di sostenerla»
l’Italia tuttavia non smise ancora di stupire; solo pochi giorni dopo la bocciatura dell’emendamento presentato da Sel, il 7 novembre 2013 il Parlamento approva infatti il famoso decreto ‘Riparte l’Istruzione‘, atto del governo presentato con ‘orgoglio’ dall’attuale ministro dell’istruzione, Maria Chiara Carozza. Ebbene, come si può leggere dal testo, il Decreto contiene “borse per il trasporto studentesco, fondi per il wireless in aula e il comodato d’uso di libri e strumenti digitali per la didattica, reintroduce l’insegnamento della Geografia, altra materia cancellata dalle politiche futuriste della Gelmini, ma dell’Arte, ancora una volta, neppure un accenno; dell’Arte nel Paese che all’Arte deve tutto, neppure un accenno. A questo punto bisognerebbe chiedersi perchè non sopprimere anche l’articolo 9 della Costituzione che, come afferma, obbliga la Repubblica “a promuovere lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica, e a tutelare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Imbarazzante agli occhi del mondo non solo vedersi Pompei crollare come pasta frolla, ma anche il confronto con le altre nazioni per ciò che concerne l’insegnamento di questa disciplina; la patria per antonomasia delle Belle Arti si trova in questa speciale classifica attualmente dietro a Paesi come Tunisia e Montenegro, mentre nello stesso tempo altri Stati come Francia, Austria e Portogallo, si ispirano alle discipline della Storia dell’arte e del Disegno reintroducendole persino nella scuola elementare.
Ma L’Italia a ben vedere ha girato le spalle solo a sé stessa: perdendo l’interesse per il Bello, ha finito per uccidere anche la tradizione dell’artigianato, dei tanti capolavori che nelle piccole botteghe abili artigiani producevano con brillante maestria ciò che dal mondo è chiamato poi come ‘made in Italy’. Se è vero, come insegna David Hume, che ‘il Bello è solo negli occhi di chi lo contempla’, allora penso che l’Italia gli occhi non li abbia neanche aperti.