Qualche riflessione sull’articolo 18 (e su tutto ciò che ne consegue)
[ad]Alla luce di questo quadro la Camusso invita a tornare ad una politica economica che sappia trarre insegnamento da quest’ultima crisi. Per ritornare ad una forma di maggiore regolamentazione dell’economia, con tutto ciò che ne consegue in materia di diritto. La Marcegaglia invece evidenzia le criticità della situazione in atto, indipendentemente da questa crisi, e la necessità da parte del sistema Italia di considerare maggiormente la crescita dei mercati emergenti, Cina in testa. Una crescita esponenziale che a livello globale ridisegna lo scacchiere del potere, ma che è anche una conseguenza diretta ed efficace sulle nostre imprese e sulle nostre aziende che molto spesso tendono a delocalizzare dove il costo della mano d’opera è più basso.
Come arrivare ad una sintesi?
Senz’altro le aziende oggi, se non assumono, non è per l’articolo 18. Del resto la manifattura diffusa nel nostro paese coinvolge solo il 2% delle imprese in questa partita. Ma perché c’è un evidente problema di produttività, di crescita economica e anche di apertura del mercato italiano, oggi poco attrattivo per le imprese straniere.
E quindi, indipendentemente dalla crisi in atto, è ovvio che bisogna ridare alla politica il suo ruolo e non relegare al mercato l’egemonia su tutte le branche del sociale. Ma riproporre non solo schemi keynesiani, validi nel 1929 ma empiricamente da dimostrare oggi nella loro efficacia, rischia di portare ad un eccesso di intervento statale nell’economia. Con il rischio, fra qualche anno, di assistere ad una nuova crisi questa volta non causata da un eccesso di deregolamentazione ma da un eccesso di dirigismo. E per un paese come l’Italia, dove la presenza dello stato nell’economia è sempre stata marcata, potrebbe veramente delinearsi un “italian default”. Con il contraccolpo, ideologicamente letale, che a questo situazione di troppo dirigismo ed elevata inflazione seguirebbero nuove sirene iper-liberiste capaci di portarci, dopo qualche decennio, al medesimo punto di partenza.
Comprensibile dunque sul piano strategico il fatto che non si metta in discussione l’articolo 18. Ma se questa rigidità è un totem utilizzato per evidenziare la volontà di non riformare il nostro sistema lavorativo, non solo si farà un danno al sistema paese ma sul lungo periodo quegli stessi diritti dei lavoratori rischieranno di non essere tutelati realmente alla luce della competizione globale. Commettendo, in questo modo, un imperdonabile errore di mancanza di lungimiranza e di miopia politica.