In diretta da Sud Sudan, kalashnikov
Per arrivare all’ospedale di Yirol, partendo da Bunagok, si percorre un’ampia strada di terra, una sorta di cicatrice in questa savana arroventata dal sole e quando si arriva non si hanno parole: l’ospedale è letteralmente preso d’assedio.
E’ una edificio ad un piano, costruito a quadrato con uno spiazzo interno. Ci sono pazienti dappertutto, ma l’equipe medica assegna senza dubbio la priorità ai feriti da guerra, ci dice il dottor Enzo Pisani del Cuamm. Sono molti e sono senza dubbio i più gravi.
C’è un giovane al quale un colpo d’arma da fuoco ha perforato l’addome, ha l’intestino fuori e la vescica spappolata. E’ stato operato e dodici ore dopo è già in piedi, senza antidolorifici.
C’è un ragazzino colpito di striscio al ginocchio. La pallottola gli ha disfatto la rotula, è fuoriuscita e lo ha colpito in gola senza recidere nessuna delle importanti arterie del collo, gli ha però bucato la trachea. E’ arrivato in ospedale che gli fuoriusciva aria dal collo. Operato, ora è lì su una branda sgangherata con altri due pazienti. Mi guarda con degli occhioni placidi e una espressione buona. Mi chiedo se è stato colpito per sbaglio, o per semplice crudeltà, o se imbracciava anche lui un kalashnikov.
La sala operatoria funziona senza soluzione di continuità. Mi spiegano che questi feriti sono il frutto dell’ultima sanguinosa battaglia che si è svolta in questa regione. Un gruppo di ribelli, di etnia nuer dovevano raggiungere la capitale, Juba, si diceva fossero ventimila. Sono stati respinti, il governo ha anche distribuito armi ai civili e questi duemila hanno finito per rimanere bloccati. Ci sono stati svariati combattimento, poi i governativi hanno finito per lasciare loro un corridoio.
Ora il risultato è che ci sono armi dappertutto. Sulla strada del ritorno ci sono diversi posti di blocco. Ci sono soldati in mimetica ma anche in borghese, impossibile distinguere la popolazione dai soldati. Lungo quella cicatrice di terra rossa ci avvertono di stare attenti ai banditi, o a gruppi di ribelli rimasti alla macchia. Sul bordo di quella striscia di terra ad un certo punto vedo un’intera famiglia in fila: il padre davanti, la moglie con in equilibrio dei sacchi sul capo e due ragazzini dietro. Tutti trasportano un kalashnikov.
Raffaele Masto